Chi mi conosce e chi mi ha seguito in questi due anni avrà senz’altro capito che il Giro d’Italia è uno di quegli avvenimenti che mi ha affascinato fin da quando ero piccolo.
Vivo è ancora il ricordo della nostra cara maestra Vally (che purtroppo oggi non c’è più), che ci invitava a guardare nel pomeriggio le tappe del Giro per imparare un po’ della geografia della nostra penisola.
E, negli anni successivi, ogni volta che ce ne è stata l’opportunità sono sceso in strada per assistere al passaggio dei corridori preceduti dalla carovana e dai tanti mezzi al seguito, tra cui anche quelli necessari per trasmettere le immagini in televisione.
E fino al 2021 ho sempre riposto una particolare attenzione su di un operatore di ripresa che si contraddistingueva, tra gli altri, per il particolare casco che indossava, su cui era stampata la bandiera della sua terra di origine, la Sardegna, con la rappresentazione dei quattro mori.
Davvero un privilegio, quindi, prima ancora che un piacere, avere avuto la possibilità di chiacchierare proprio con lui, vale a dire con Francesco Simula, reduce dal Tour of The Alps e al seguito della edizione numero 106 del Giro per curare le riprese delle varie trasmissioni che precedono e seguono ogni tappa.
Nato a Sassari, ma abitante di Nuoro, si è poi trasferito a Milano dopo aver vinto prima il concorso (e poi frequentato proficuamente) la scuola del cinema, dopo di che quello indetto dalla RAI nel 1995, anno in cui ha iniziato a lavorare per la televisione di stato.
Una passione, quella di Francesco, per il lato artistico delle riprese cinematografiche e per la fotografia in generale sbocciata nella sua amata terra d’origine, laddove ha collaborato con Tele Isola (un’emittente di Nuoro), con Nova TV (con sede a Oristano), con Sardegna 1 e con Videolina, curando anche servizi di reportage, e coltivata poi lontano dalla Sardegna una volta resosi conto che per cercare di fare il grande salto professionale avrebbe dovuto trasferirsi altrove.
Dopo aver conseguito il diploma alla Civica Scuola di Cinema di Milano è entrato a far parte della RAI, grazie alla quale ha avuto la possibilità di formarsi professionalmente e provare a fare esperienze di tutti i tipi come operatore di ripresa:
“Sono molto grato delle opportunità che mi sono state date dalla RAI, che mi ha permesso di crescere occupandomi non solo di riprese in movimento [dalla sua, Francesco, specializzato non solo nelle riprese in movimento, essendo anche un operatore di steadycam, annovera ben 16 edizioni di Miss Italia tutte riprese con la steadycam, qualche Sanremo, diversi varietà del sabato sera, ma anche Olimpiadi, Mondiali, Fiction, programmi televisivi, nonché da qualche anno le riprese della “prima alla Scala” e il concerto di capodanno dal Teatro La Fenice: n.d.r.], un settore di cui ho iniziato a fare parte dal 1997, ossia l’anno in cui la Rai riacquistò i diritti per la trasmissione del Giro d’Italia, dopo la parentesi quinquennale di gestione Mediaset. C’era urgenza di formare una squadra di operatori, piloti e tecnici che avrebbero dovuto seguire quell’edizione del Giro. Ho colto questa opportunità e da quell’edizione, fino a quella del 2021, ho sempre fatto parte di quel team, per 24 anni di fila, fino diventare primo operatore per le riprese in movimento”.
Un team, mi spiega Francesco, di professionisti altamente specializzati, che oggi è composto da 7/8 operatori di ripresa, 15 motociclisti, 3/4 cameraman che si occupano di riprese dall’elicottero, oltre che da una decina di tecnici con varie mansioni che seguono le riprese in esterna (in generale) tra cui anche le corse ciclistiche (in particolare).
“Ma”, mi chiarisce subito Francesco, “non è semplice riuscire a entrare a far parte di questo gruppo di operatori di ripresa in movimento e di piloti motociclisti, in ragione delle particolarità richieste a queste figure professionali che dipendono dal particolare modo in cui vengono storicamente effettuate queste riprese da parte della RAI”.
Ed è questo il fulcro intorno a cui sarà imperniata tutta la nostra chiacchierata.
“Devi sapere, infatti, Wenner”, prosegue Francesco, “che la scuola delle riprese in movimento della RAI prevede che nelle tappe i cameraman lavorino sempre in piedi, sorreggendosi sui due predellini posti sul retro della moto, a differenza, invece, degli operatori degli altri paesi, in particolar modo quelli francesi, che lavorano generalmente da seduti, posizionando la telecamera sopra uno dei due bauletti collocati sui fianchi posteriori della moto. Un modo enormemente più complesso e faticoso di lavorare, il nostro, ma che permette all’operatore di essere in grado di fornire dall’inizio alla fine di ciascuna tappa immagini idonee a essere messe in onda. Al contrario, se la telecamera è appoggiata sul bauletto, ogni qualvolta la moto curva, o si inclina, il regista è costretto a staccare su di un’altra telecamera per non mettere in onda immagini inclinate. Ma, come Ti dicevo, è decisamente più difficile: immagina quando scendiamo lungo i passi dolomitici a una velocità di 90/100 km/h oscillando a destra e sinistra, mentre, semmai, siamo girati di spalle per riprendere i corridori dietro di noi, dovendo nel contempo assecondare l’inclinatura della moto e cercando di tenere sempre l’orizzonte in bolla”.
Ecco perché non è un lavoro per tutti.
“Lo sforzo fisico richiesto a un operatore di ripresa in movimento che lavora in questo modo è davvero rilevante. La preparazione fisica è fondamentale, ma devi ignorare la fatica che stai facendo, perché occorre rimanere lucidi per concentrarsi sul proprio lavoro, che non è solo quello di filmare un evento sportivo in movimento, ma anche quello di cercare di comporre e di creare delle sequenze di immagini da proporre alla regia. Tanti aspiranti operatori rinunciano a intraprendere questo percorso una volta che percepiscono l’estrema faticosità di questo tipo di lavoro per cui è richiesto, tra l’altro, di rimanere in piedi su due staffe mentre la moto è in movimento anche per 6/7 ore di fila sotto ogni tipo di condizione metereologica, con i piedi e le gambe sempre fronte marcia, ma, molto spesso, con il busto ruotato per riprendere i corridori che sono dietro di noi. Lavorare in queste condizioni per centinaia di chilometri di fila, su strade, le cui condizioni non sono sempre ottimali, ovvero munite di sanpietrini o ancora lastricate, è qualcosa di estremamente sfibrante. Per darti un’idea, l’ultima volta che arrivammo a Roma, aprimmo i bauletti posti sui lati posteriori della moto e rinvenimmo tutte mescolate le apparecchiature che alla partenza avevamo saldamente fissato. Ciò, ovviamente a causa delle continue vibrazioni cui è stata sottoposta la moto”.
E, naturalmente, questo modo di riprendere le corse ciclistiche in movimento non può non avere un impatto anche sul tipo di telecamere che vengono impiegate:
“Utilizziamo telecamere più leggere rispetto a quelle impiegate dagli operatori stranieri, i quali utilizzano camere con ottiche super stabilizzate potendole appoggiare sui bauletti delle moto. Ma mentre loro possono offrire riprese o da davanti o da dietro, lavorando in piedi abbiamo la possibilità di sfruttare tutto l’orizzonte che ci circonda, in modo da costruire piani sequenza, articolando vari tipi di ripresa molto più movimentati. Pensa Wenner che fui io il primo a proporre l’introduzione in Italia di telecamere in grado di fornire riprese in movimento high speed, in grado cioè di fornire quelle immagini che consentono di realizzare replay nitidissimi. Le vediamo anche al Tour de France, ma Ti svelo una differenza: in Francia quei replay vengono realizzati grazie ad adattamenti effettuati dagli operatori RVM, mentre alle nostre latitudini è in gran parte merito dell’operatore di ripresa”.
Pensavo sì fosse complesso, ma non a questi livelli!
E qual è la ripresa più difficile da realizzare?
“Di sicuro quelle in discesa lungo i passi dolomitici sono le più complesse da realizzare tenendo conto anche delle condizioni metereologiche non sempre favorevoli, mentre le più semplici da realizzare sono quelle delle tappe a cronometro nelle quali generalmente filmiamo senza dover ruotare il busto di quasi 180 gradi…a meno che non piova, perché in tale ipotesi, preferisco riprendere il corridore da più lontano, ma dal davanti, per riparare con il mio corpo la lente della telecamera dalla pioggia. Preferisco prendere io la pioggia!”.
In tutto questo immagino che il rapporto tra un operatore di ripresa e il proprio pilota sia fondamentale.
“Te lo confermo, Wenner. Di questo ne parliamo settimana prossima, se Ti va…”.
Molto volentieri, Francesco.
Grazie, per ora!
Wenner Gatta | Avvocato e appassionato dal 1978 di ogni tipo di sport, visto, si badi bene, dalla privilegiata posizione del proprio divano di casa. Dal 2020 socio dell’associazione Nicolodiana e Salvadoriana telepcsportdipendenti. Il suo motto è: “Perché seguire solo un evento sportivo, quando se ne possono vedere tanti contemporaneamente?”. Da marzo 2021 cura settimanalmente sulle pagine di Sport In Media la rubrica “Ultra Slow Mo” dove cerca di raccontare ciò che non si vede dello sport in TV. Durante i giochi olimpici invernali di Pechino 2022 ha invece pubblicato quotidianamente sempre sulle pagine di Sport in Media la rubrica #undòujiāngdaPechino.
Da giugno 2024 ha lanciato Breaking News Ultra Slow-Mo uno spazio per parlare in tempo reale e in modo telegrafico di telecamere particolari, di grafiche innovative, di novità delle produzioni televisive.