Non sono (purtroppo) state tante le puntate di Ultra Slow Mo in cui ho avuto la possibilità di ospitare professioniste che lavorano nel mondo delle produzioni televisive degli eventi sportivi, anche se, quando me ne è capitata l’occasione, ho cercato, nel piccolo di questa rubrica, di dare spazio alla loro voce (Barbara Cirillo, Sarah Volpi con le cinque puntate di TECHSPORTVISION, Valeria Lippera e Melissa Tasini, sono state le donne che operano in questo settore con cui ho avuto la possibilità di chiacchierare).
Questa settimana ho però il piacere di pubblicare una testimonianza ricevuta da Izarne Villaverde, una operatrice di ripresa spagnola (nata a Bilbao, poi trasferitasi a soli due anni a Valencia), che mi ha colpito per un post che ha scritto su LinkedIn qualche settimana fa e alla quale ho chiesto di raccontarmi la sua esperienza.

Un racconto, il suo, che non può non farci riflettere, tenendo conto che, probabilmente, anche alle nostre latitudini la situazione non è poi così differente.
La riporto nella lingua con cui me lo ha scritto, lo spagnolo, perché penso che “arrivi di più” rispetto all’algida traduzione in lingua italiana, sotto riportata, che ha curato un algoritmo di intelligenza artificiale, e, dalla quale, comunque, emergono in maniera forte alcuni concetti.
Grazie Izarne, anche il Tuo nome è annotato sul mio personalissimo cartellino.
Stay tuned!
ENTERVISTA A IZARNE VILLAVERDE – VERSION ESPAÑOLA (clicca qui)
INTERVISTA A IZARNE VILLAVERDE – VERSIONA ITALIANA (clicca qui)
VERSIONE SPAGNOLA
“Mi nombre es Izarne, soy operadora de cámaras especiales en Grup Mediapro, voy a cumplir 43 años y, aunque no me había parado a pensarlo, y me está dando un poco de vértigo mientras lo escribo, supongo que eso significa que también voy a cumplir 20 años trabajando en televisión.
Resulta curioso seguir sintiendo que todavía no sé nada. Pero ya llegaremos a eso más adelante.
Me pregunta Wenner de dónde viene mi pasión por esta profesión, supongo porque sabe bien que no se están tantos años aquí sin que haya una. Y la verdad es que, aunque siempre había querido ser astronauta, todavía soy capaz de transportarme a la primera vez que hice una fotografía. Fue un retrato de mis abuelos en la playa de Nerja, yo tenía 8 años y aquella Nikon me ha acompañado en cada mudanza hasta hoy.
Poder escoger qué se ve y cómo, poder contar la vida, explorar el mundo, dar voz a las historias y aprender, además, a realzar la (enorme) belleza que nos rodea me pareció una manera preciosa de experimentar la existencia.
Así que empecé en una televisión local, que es algo que recomiendo a todo el mundo que quiera dedicarse a esto, porque las oportunidades que tuve allí no he vuelto a tenerlas nunca. Después estuve muchos años haciendo un magazín de noticias en TVE, actividad que compaginaba con otros proyectos más creativos, pasé unos años como freelance teniendo la oportunidad de trabajar mucho con artistas musicales y terminé dedicándome a los deportes, que es lo que hago actualmente.
Ésta siempre ha sido una profesión muy masculinizada. Pero con el paso de los años he observado, no sé si por edad o por sector, que la proporción de mujeres en las retransmisiones deportivas es escandalosamente pequeña. ¿Por qué no estamos ahí?
Es una profesión dura. Lo es, es cierto, pero ¿qué profesión no lo es? ¿quién debe tomar la decisión de qué cantidad de “dureza” es capaz de gestionar una mujer? En todos estos años me he encontrado en innumerables ocasiones siendo la única mujer en equipos enormes. Y os diré algo más: se me ha exigido el doble que a muchos compañeros. Me he sentido literalmente incapaz de bajar el ritmo, tomarme licencias, relajarme, fallar…porque sabía que lo que estaba arriesgando era un “es que es una mujer, no vale”. Y eso no me afectaba sólo a mí, también a todas las que quisieran venir detrás.
Es una profesión dura pero es también una profesión preciosa. Aquí me he superado. He construido una persona de la que hoy en día me siento muy orgullosa. He peleado y he ganado. He explorado el mundo. He aprendido muchísimo y a pesar de todos los años y todas las experiencias sigo teniendo la sensación de no haber hecho todavía nada. De que me queden tantas cosas por hacer, por vivir, que tal vez no fuera a darme tiempo.
Quiero todo esto para todas y cada una de las mujeres que también quieran vivirlo. Quiero que tengan todas las puertas abiertas. Que no tengan que viajar a otro país para hacer una final de una competición, y se encuentren de pronto sentadas a los pies de un chaval, enseñándole cómo funciona la cámara que ellas iban a operar, porque él no la ha tocado en su vida, pero alguien ha decidido que “ella no”. Que no tengan que llorar a escondidas cuando no las dejen hacer su trabajo. Que seguramente harán mucho mejor que muchos otros. Y también quiero que no sólo lleguen las mejores, a no ser que sólo lleguen los mejores también.
Quiero que nos exijan lo mismo, que nos dejen hacer lo mismo, que no nos juzguen, que no decidan por nosotras si es vida para una mujer y, como le escuchaba esta tarde a la gran Isabel Coixet, que cuando nos pregunten “y cómo lo haces con tu hija viajando tanto” respondamos “eso pregúntaselo a Steven Spielberg, que tiene 8”.
Nuestra industria se merece tener mujeres que la transformen, que la trabajen, que la lideren, que la construyan.
Y necesitamos transformarla juntos. Necesitamos que nos dejéis abrir las puertas, que nos deis voz en todos los espacios en que podáis dárnosla ( gracias por éste ), que nos exijáis lo mismo y nos ayudéis lo mismo y que podamos entre todos hacer esta profesión todavía más bonita de lo que ya es.
Nuestra industria merece la transformación que solo la diversidad puede ofrecer, y ese cambio solo será posible si trabajamos juntos. Que se abran puertas, que se exija lo mismo a todas y que se valore el talento sin importar el género.
Para que podamos seguir creando con valentía”.
TRADUZIONE ITALIANA
“Mi chiamo Izarne, sono un operatore di ripresa speciale presso Gruppo Mediapro, compirò 43 anni e, anche se non ci ho pensato e mi gira un po’ la testa mentre scrivo, suppongo che ciò significhi che lavorerò ancora in televisione per 20 anni.
È curioso come io abbia ancora la sensazione di non sapere nulla. Ma ne parleremo più avanti.
Wenner mi chiede da dove nasce la mia passione per questa professione, immagino perché sa bene che non si può resistere a lungo senza averne una. E la verità è che, anche se ho sempre desiderato diventare un astronauta, riesco ancora a tornare indietro nel tempo, alla prima volta che ho scattato una fotografia. Era un ritratto dei miei nonni sulla spiaggia di Nerja.
Avevo 8 anni e quella Nikon mi ha accompagnato in ogni spostamento fino a oggi.
Poter scegliere cosa vedere e come, poter raccontare la vita, esplorare il mondo, dar voce alle storie e anche imparare a valorizzare la (enorme) bellezza che ci circonda mi è sembrato un modo meraviglioso di vivere l’esistenza.
Così ho iniziato a lavorare nella televisione locale, cosa che consiglio a chiunque voglia intraprendere questo mestiere, perché non ho più avuto le stesse opportunità che ho avuto lì. In seguito, ho trascorso molti anni a realizzare un notiziario su TVE, un’attività che ho combinato con altri progetti più creativi. Ho trascorso alcuni anni come freelance, avendo l’opportunità di lavorare molto con artisti musicali e ho finito per dedicarmi allo sport, che è ciò che faccio attualmente.
Questa è sempre stata una professione fortemente maschilista. Ma nel corso degli anni ho notato, non so se per via dell’età o del settore, che la percentuale di donne nelle trasmissioni sportive è scandalosamente bassa.
Perché non siamo lì?
È una professione dura. Lo è, è vero, ma quale professione non lo è? Chi dovrebbe decidere quanta “durezza” una donna è in grado di gestire? Nel corso degli anni mi sono ritrovata innumerevoli volte a essere l’unica donna in team molto grandi. E ti dirò un’altra cosa: mi è stato chiesto di fare il doppio di quello che ho dovuto fare a molti dei miei colleghi. Mi sono sentita letteralmente incapace di rallentare, prendermi delle libertà, rilassarmi, fallire… perché sapevo che ciò che stavo rischiando era un “è perché è una donna, non ne vale la pena“. E questo non ha toccato solo me, ha toccato anche tutti coloro che avrebbero voluto venire dopo di me.
È una professione dura, ma è anche una professione meravigliosa. Qui ho superato me stessa. Ho creato una persona di cui oggi sono molto orgogliosa. Ho combattuto e ho vinto. Ho esplorato il mondo. Ho imparato molto e nonostante tutti gli anni e tutte le esperienze ho ancora la sensazione di non aver ancora fatto nulla.
Che ho ancora così tante cose da fare, da vivere, che forse non avrò tempo.
Voglio tutto questo per ogni donna che desidera sperimentarlo. Voglio che tutte le porte siano aperte. Non devono andare in un altro paese per partecipare alla finale di una competizione e ritrovarsi all’improvviso seduti ai piedi di un bambino, a mostrargli come funziona la telecamera che avrebbero dovuto usare, perché lui non l’ha mai toccata in vita sua, ma qualcuno ha deciso che “non può”. Non dovrebbero piangere in segreto quando non è loro permesso fare il loro lavoro. Che sicuramente avrà molto più successo di molti altri. E non voglio che arrivino solo i migliori, a meno che non arrivino anche solo i migliori.
Voglio che pretendano lo stesso da noi, che ci lascino fare lo stesso, che non ci giudichino, che non decidano per noi se la vita è giusta per una donna e, come ho sentito dire questo pomeriggio alla grande Isabel Coixet, che quando ci chiedono “e come fate con vostra figlia che viaggia così tanto” rispondiamo “chiedetelo a Steven Spielberg, ha 8 anni”.
Il nostro settore merita di avere donne che lo trasformino, che ci lavorino, che lo guidino, che lo costruiscano.
E dobbiamo trasformarlo insieme. Abbiamo bisogno che ci lasciate aprire le porte, che ci diate voce in tutti gli spazi in cui potete darcela (grazie per questo), che pretendiate lo stesso da noi e ci aiutiate allo stesso modo, e che tutti noi possiamo rendere questa professione ancora più bella di quanto non sia già.
Il nostro settore merita la trasformazione che solo la diversità può offrire e questo cambiamento sarà possibile solo se lavoriamo insieme. Che le porte siano aperte, che si pretenda lo stesso da tutti e che il talento sia valorizzato indipendentemente dal genere.
Affinché possiamo continuare a creare con coraggio”.
TRANSLATION | N.B. per la versione desktop del sito è attiva la traduzione multilingua
Multilingual translation available in desktop version

Wenner Gatta | Avvocato e appassionato dal 1978 di ogni tipo di sport, visto, si badi bene, dalla privilegiata posizione del proprio divano di casa. Dal 2020 socio dell’associazione Nicolodiana e Salvadoriana telepcsportdipendenti. Il suo motto è: “Perché seguire solo un evento sportivo, quando se ne possono vedere tanti contemporaneamente?”. Da marzo 2021 cura settimanalmente sulle pagine di Sport In Media la rubrica “Ultra Slow Mo” dove cerca di raccontare ciò che non si vede dello sport in TV. Durante i giochi olimpici invernali di Pechino 2022 ha invece pubblicato quotidianamente sempre sulle pagine di Sport in Media la rubrica #undòujiāngdaPechino.
Da giugno 2024 ha lanciato Breaking News Ultra Slow-Mo uno spazio per parlare in tempo reale e in modo telegrafico di telecamere particolari, di grafiche innovative, di novità delle produzioni televisive.
TUTTE LE PUNTATE DI ULTRA SLOW MO
TUTTE LE PUNTATE DI ++BREAKING NEWS ULTRA SLOW-MO++
TUTTI GLI ARTICOLI DELLA RUBRICA DEDICATA A PECHINO 2022
DECODER | IL LIBRO SULLA STORIA DELLA PAY-TV SPORTIVA