Si intitola “Tifo criminale” con “Lati oscuri del calcio” come sottotitolo: quattro episodi di produzione italiana (Braciolafilm per A+E Italia) visibili su Crime+Investigation e su Sky On demand. I casi raccontati sono quelli di Vincenzo Spagnolo, Ciro Esposito, Daniele Belardinelli e Filippo Raciti: quattro persone (tre tifosi e un ispettore di Polizia) morti con un minimo comun denominatore: il tifo calcistico. Quattro storie che potrebbero anche sembrare parte di un clima di violenza di un’epoca lontana; ma che i fatti di sabato scorso a San Siro (spettatori allontanati dalla curva dell’Inter con violenza per celebrare la morte di un capo ultrà pluripregiudicato) hanno riportato rapidamente di attualità.
La miniserie è centrata su una figura quanto mai azzeccata: l’attore Francesco Acquaroli, visto in innumerevoli serie e film, che in questo caso pare rivestire i panni del Sebastiano di Rocco Schiavone: l’amico di sempre sopraffatto dal dolore. La parola chiave della sua interpretazione è proprio questa: dolore. Acquaroli, dalle tribune di uno stadio deserto, di provincia, fa da fil rouge tra le vicende incarnando sul suo volto quel senso di straniamento che coglie chi riflette sul fatto che nulla è più assurdo di una morte legata ad una passione sportiva. E Acquaroli si rivela un perfetto e credibilissimo testimonial di questo dolore e di questo straniamento. Il suo è il volto che incarna assieme quello del padre di Vincenzo Spagnolo, della madre di Ciro Esposito: e pure quello del fratello di Gabriele Sandri, il tifoso laziale ucciso da un colpo di pistola sparato da un poliziotto, in una piazzola della A1 mentre stava andando a Milano per seguire Lazio-Inter. La puntata di “Ossi di seppia” a lui dedicata è ripassata su Rai 3 venerdì scorso in seconda serata, seguendo, in una sorta di feroce discorso sulla violenza e sui colpi di pistola, quella sull’uccisione di Giorgiana Masi, avvenuta a Roma nel ’77.
Le vicende di “Tifo criminale” sono raccontate con materiali d’archivio e testimonianze secondo lo schema più classico dei reportage. La domanda è: ce n’era bisogno? La risposta invece è: sì, eccome. Primo perché senza memoria non si va mai da nessuna parte. Anzi: si va sempre nella stessa direzione, verso il disastro. Secondo perché la curva dell’Inter vuota, sabato scorso, ci ha ricordato, in modo sinistro, che ci sono magmi demoniaci che covano sotto la cenere. Basta un nulla perché quel magma affiori e uccida qualcuno. Ma ora non si può più dire “Ma come è stato possibile?”.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
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