Arrivano gli Europei, evviva. Ma prima che inizino gli incontri vale la pena di compiere un esercizio di memoria. Esercizio che riguarda l’edizione vinta dall’Italia tre anni fa: per la precisione l’ultimo giorno di quell’evento. Quello in cui a Wembley era in programma la finale fra Inghilterra e azzurri.
Il film che suscita la memoria è disponibile su Netflix da qualche giorno e s’intitola “The Final – attacco a Wembley”: rappresenta un unicum perché si pone in una striscia sottilissima fra la realtà “vera” e quelle che avrebbe potuto diventarlo, fra la narrazione giornalistica e il romanzo possibile. Ma procediamo con ordine.
Il film (durata 1h20, produzione BBC) ripercorre minuto per minuto non già l’attesa delle squadre, l’avvicinamento allo stadio e l’esito della partita, anche se poi è proprio quest’ultimo punto a trascinare tutto su un terreno romanzesco; ma quanto successe fuori dallo stadio fin dalle prime ore del mattino. In pratica migliaia di persone si accalcarono nei pressi dell’impianto londinese con due obiettivi: bere birra e provare a entrare nello stadio senza avere lo straccio di un biglietto. In un’area incredibilmente priva di forze dell’ordine (che erano state convocate solo nelle prime ore del pomeriggio) è facile immaginare a che tipo di evoluzione portò il mix fra le due pratiche. Colpisce da subito l’incredibile autoindulgenza con cui alcuni dei giovani protagonisti della giornata guardano a sé stessi. Da un lato ce n’è uno che giustifica il suo zompare sul tetto di un bus di linea a incitare la folla sottostante col fatto che pure il padre gli aveva raccontato di aver compiuto analoga impresa in passato. Un altro invece candidamente racconta che era uscito di casa con in tasca migliaia di sterline (il suo stipendio di non si sa quanti mesi) pronto a spenderli per comprare un biglietto. Ma fino a qui siamo nel racconto giornalistico.
Il cuore di “Attacco a Wembley” arriva nel finale. Quando migliaia di quegli strafatti di birra e cocaina vanno all’assalto dei tornelli. Molti riescono a entrare, la più parte spinge davanti agli ingressi. E qui bisogna fermare l’immagine. Se l’Inghilterra avesse vinto, cioè se Rushford, Sancho e Saka avessero trasformato i loro tiri, la follia alcoolica e metabolitica avrebbe spinto i tifosi a travolgere il cordone di polizia (che le immagini evidenziano come schierato non esattamente alla stregua di una testuggine di romana memoria) e a entrare nello stadio. Il che avrebbe avuto come conseguenza lo scontro frontale con quelli che invece stavano uscendo dall’impianto; oppure lo schiacciamento di quelli che stavano dentro. Una tragedia. Un qualcosa di simile a quanto successo all’Heysel nell’85 oppure alla Love Parade di Berlino nel 2010. Invece a Londra non successe nulla perché l’Inghilterra i rigori li fallì e vinse l’Italia. Come per magia i seimila o quanti erano defluirono mestamente dall’area antistante lo stadio e quelli che erano dentro uscirono rischiando solo di ferirsi i piedi con le tonnellate di lattine di birra abbandonate ovunque.
Il romanzesco, cui il film non fa cenno ma che sorge nei cervelli più fantasiosi, è qui. Gli inglesi fallirono malamente quei rigori perché i rigori si sbagliano oppure, attraversando canali imperscrutabili, fu chiesto loro di sbagliare per evitare una carneficina? E’ romanzo puro, ovvio. Come sempre, a seconda di quale sia la tesi preferita, si possono trovare prove a favore e altre contrarie. Ma il brivido che il film suscita quello è assolutamente reale. Dopo l’Heysel ci vollero anni perché qualcuno ammettesse che negli spogliatoi i giocatori erano perfettamente a conoscenza di cosa era successo nella curva Z. Chissà se mai qualcuno, un giorno, svelerà che a Londra, quel giorno, il romanzo era realtà e ciò che sembrava reale in realtà non lo era. Ai posteri, come sempre, l’ardua sentenza.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Ha pubblicato a giugno 2023 il libro “Chi ha rapito Roger Federer?” (Absolutely Free).
Collabora con il quotidiano Domani, cura per Sport in Media la rubrica “La Nuca di McKinley” e durante i Mondiali di calcio 2022 ha realizzato la video-rubrica “Qatarinfrangenze“.
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