Ecco a voi un nuovo genere: lo sport-family. Ovvero: una narrazione in cui i protagonisti dello show sportivo vengono raccontati non tanto approfittando delle loro imprese agonistiche o delle loro sciagure personali; quanto basandosi sulla loro natura di esseri umani. Certo, dirà qualcuno. Gioco facile se il protagonista della storia è Carletto Mazzone. Uno che è stato, nel mondo del calcio, probabilmente l’ultimo rappresentante di una genìa di tecnici che possiamo far risalire a Nereo Rocco e che è transitata attraverso Gigi Radice e Manlio Scopigno (con tutte le differenze del caso) per arrivare fino al Trap: il tecnico-padre che tentava (e spesso riusciva) di costruire attorno a sé una squadra-famiglia con tutte le caratteristiche e i limiti del caso. Ma la particolarità di “Come un padre”, docufilm dedicato appunto a Mazzone (regia di Alessio Di Cosimo, disponibile su Amazon Prime) è che amplia il concetto di famiglia calcistica tirando dentro chi sta guardando. E creando così una super family, una comunità generazionale e per questo anche un po’ proustiana che si riconosce in quel calcio e nei ricordi personali che evoca.
Intanto è un film sul tempo che passa e dunque rivoluzionario. Guardi il volto di Mazzone che cambia nel corso degli anni, scruti le rughe su quelli di Baggio e Muzzi e ti senti immensamente lontano dalla mitizzazione di un certo modo di essere giovani in cui ci muoviamo ogni giorno. Anche i campioni invecchiano ma non per questo diventano obsoleti, anzi. I gemelli Filippini sono più filippinosi oggi di quando giocavano. E poi avrà anche ragione Stanis La Rochelle in Boris 4 quando accusa le maestranze sul set di concepire il lavoro come una pausa fra un aneddoto e l’altro (“Gli aneddoti valgono un punto di Pil!”); ma quelli su Mazzone sono imperdibili. Spoileriamone uno che ne vale la pena. Racconta Baggio, figlio adottivo prediletto di papà Mazzone: “Carlo detestava i cani, ne aveva paura, non li voleva sui campi di allenamento. Al Brescia un giorno qualcuno portò il suo, lui lo vide e s’infuriò: ma di chi è ‘sto cane? Portatelo via! Io ne avevo uno grande e un giorno lo portai al campo. Lui uscì dallo spogliatoio, lo vide e urlò: ma di chi cXXXo è ‘sto cane? Qualcuno rispose: è di Baggio! E lui: ah allora famolo giocà, portategli da mangiare…”.
Quel senso di appartenenza che si prova (o almeno provano solo quelli più âgée, chi lo sa) ascoltando storielle del genere è la prova che “Come un padre” ha raggiunto il suo scopo: quello di rendere gli spettatori famiglia di quel padre. Ecco perché vale la pena vederlo.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
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