Spesso leggiamo sui giornali che “questa o quella” squadra sono entrate nel mirino di qualche fondo, definito “speculativo”, che ne medita l’acquisto a cifre esagerate.
Per le medesime ragioni, si sente parlare dell’attacco degli stessi fondi anche nella corsa dei diritti televisivi o, ancor più in larga scala, ad uno sport: si pensi ai fondi arabi e alla creazione della lega di golf LIV.
Non tutti hanno accettato le loro lusinghe: in Italia e Germania, ad esempio, ci sono ancora notevoli perplessità delle leghe calcio, oggetto di forti contrasti interni tra le squadre, restie a cedere i propri diritti a soggetti così forti.
Lo spunto per questo articolo, che sarà un po’ più didascalico, mi è venuto però dopo aver letto la notizia che la franchigia NBA dei Boston Celtics è stata ceduta al fondo di private equity Symphony Technology Group per la cifra monstre di 6.1 miliardi di dollari (!).

Ecco allora la curiosità di fare un po’ di chiarezza su questo aspetto legato più a logiche finanziarie che prettamente sportive.
Ma chi sono questi fondi? Perché, soprattutto in tempi recenti, spingono sullo sport business? Quali le prospettive, i problemi e le critiche verso questa maniera di finanziare lo sport?
Proviamo a dare qualche risposta, senza la pretesa di essere esaustivi (se infatti c’è qualcuno che conosce bene le dinamiche rispetto all’argomento trattato, non lesini suggerimenti o commenti!), dal momento che si parla di “entità” finanziarie con interessi a volte sterminati, ma con l’auspicio di capirci qualcosa in più, in modo da leggere con occhi più attenti la realtà che ci circonda.
Questo articolo, nei miei pensieri, è visto un po’ come una “PRIMA PARTE” di un ragionamento più ampio, che magari cercherò di sviluppare nei prossimi mesi, in un’altra puntata della rubrica.
Quindi restate sintonizzati.

COSA SONO I FONDI SOVRANI E LE SOCIETÀ DI PRIVATE EQUITY: soldi pubblici e privati
Il concetto che sta dietro a questo tipo di enti è, se vogliamo, molto semplice: un soggetto economico apporta nuovi capitali in una società prescelta. Acquistandone le azioni, non crea debito. Punto.
Chiaramente questo è il nucleo ridotto all’osso. Ora impariamo un po’ di lessico, utile a muoverci in questo contesto, a volte oscuro proprio perché intriso di termini tecnici, ma che poi non sono così astrusi.
A) FONDI PRIVATE EQUITY
Il private equity tradotto non è altro che il “capitale privato”. Solitamente le società di private equity sono rappresentate da compagnie denominate “private equity fund” o “private equity firm”.
I “fondi” sono composti da azionisti, che al loro volta possono essere essi stessi dei fondi di investimento. Insomma, il meccanismo è semplice, l’organizzazione e le dinamiche interne invece sono molto complesse.
Questi fondi investono ovviamente “a scopo di lucro” (non sono dei benefattori…), acquistando, come detto, azioni: il complesso di partecipazioni acquisite viene poi definito “company portfolio”.
Da ultimo, andiamo a vedere come vengono definiti i vari tipi di investitori di private equity (qui troviamo diversi termini usati dalla stampa, spesso non subito comprensibili…):
- Il primo è l’angel investor: potremo chiamarlo “l’angelo custode” (?) e si tratta di un singolo individuo, dotato di un vasto patrimonio, che investe parte della sua ricchezza nelle azioni di startup innovative e ad alto potenziale per farle crescere tramite un capitale iniziale. I suoi profitti saranno quindi poi i futuri dividendi.
- Ecco poi il classico fondo di private equity, è un fondo strutturato, costituito da un gruppo di investitori che vogliono puntare su aziende avviate, per ricavare profitti (eh, manco a dirlo) e aiutarle a crescere, a volte affiancando agli amministratori della società i manager del fondo (qualcuno ha detto “Milan” o “Inter”?). Solitamente puntano a profitti sul medio-lungo termine, tanto con il distacco di dividendi, che con la valorizzazione dell’asset acquistato, da rivendere poi dopo qualche anno con la relativa plusvalenza.
- L’hedge fund, è sempre un fondo, ma dalla caratteristica di essere altamente speculativo. Ha la peculiarità di non essere aperto a tutte le categorie di investitori, ma riservato a soggetti facoltosi, con soglie di accesso molto alte e un vincolo di partecipazione per un periodo di almeno 3/7 anni. Hanno l’obiettivo di guadagnare il più possibile nel minor tempo e in qualunque modo. Senza entrare nei dettagli (ci sarebbero tutta una serie di caratteristiche giuridico finanziarie, specialmente in USA, che lo fanno risultare un mezzo agile per questo tipo di operazioni, sulle quali non ci addentriamo), qui ci troviamo di fronte ad uno strumento capace di raccogliere enormi quantità di denaro. Molto ambito perché molto remunerativo.
B) FONDI SOVRANI
Se quelli visti sono “capitali privati”, ci sono poi gli investimenti operati con denaro pubblico. Qui entrano in gioco i Fondi Sovrani, controllati da uno stato e capaci di agire su scala globale. In pratica si tratta di gestori di risorse dello stato che investono sul mercato per ottenere profitti o vantaggi strategici. Oggi ci sono più di 20 fondi sovrani globali, con un ruolo di primo piano nell’industria finanziaria mondiale.
Sappiamo tutti che alcuni fondi sovrani, come per esempio quello arabo PIF, hanno risorse pressoché illimitate e sono capaci di stravolgere qualsiasi regola di mercato. Ma il denaro non è tutto e, infatti, a volte queste potenti iniezioni di contanti hanno anche ottenuto dei successi, come nel caso della lega golf LIV, mentre in alti ambiti, pur avendo dilapidato vere e proprie fortune, non hanno prodotto i risultati sperati, come per la Saudi League.
Da una parte, con i fondi di equity si punta al profitto puro e semplice, mentre spesso le logiche dietro agli investimenti dei fondi sovrani possono essere diverse e legate al raggiungimento di altri benefici, magari sotto il profilo del miglioramento dell’immagine di quello stato (sì, è il cosiddetto “Sportwashing”).
Qui ci soffermeremo principalmente sul ruolo che questi operatori economici hanno e avranno nel limitato campo del business sportivo, ma basti pensare che il “portfolio” di questi fondi varia e spazia in tutti i settori, dall’immobiliare a quello farmaceutico, e chi più ne ha, più ne metta, basta che porti profitto (!).

PERCHÉ I FONDI DI PRIVATE EQUITY SONO COSÌ INTERESSATI A ENTRARE NEL MONDO DELLO SPORT? SOSTENIBILITA‘
Tralasciando i fondi sovrani, che optano per logiche a sé stanti, vale la pena soffermarci maggiormente sui capitali di private equity.
Diversi studi (tra i tanti Dbrs Morningstar), hanno appurato che l’acquisto di società sportive vengono percepiti come una possibilità di diversificare gli investimenti (abbiamo visto che questi fondi investono in molti campi), tramite un asset che dovrebbe garantire entrate stabili e di rilievo.
Come esempio, pensiamo per un attimo allo sport USA, dove anche franchigie (NFL, NBA, MLB o MLS non cambia) in un momento storico poco felice, pur con scarsi risultati sportivi, hanno comunque entrate costanti dalla vendita dei biglietti, dal merchandising e soprattutto dai diritti TV. Si tratta di prodotti valorizzati e resi godibili per tutti i fan, che vengono coccolati e fidelizzati, di modo che possano essere di sostegno, soprattutto economico, alla squadra.
Nel nostro piccolo, vediamo che almeno un paio di società italiane, Inter e Milan (ma anche l’Atalanta si sta muovendo in tal senso e forse il Bologna), non a caso entrambe partecipate o detenute da fondi, stanno andando su quella strada (fidelizzazione): lo dimostra la massiccia e costante partecipazione dei propri tifosi alle partite, anche non di cartello.

Per capire però questi ragionamenti, purtroppo, dobbiamo forse uscire dalle logiche di business che albergano (o albergavano?) nel nostro Paese, dove sappiamo che il profitto in ambito sportivo è ancora visto come un miraggio o è comunque ostacolato da grossi limiti legislativi e burocratici.
Va anche detto, per onestà intellettuale, che nemmeno chi ha gestito lo sport italiano in passato (a livello di leghe e club) ha brillato per lungimiranza.
Troppe volte si sono persi “treni importanti” per poter evolvere e far crescere il business. Si pensi solo ai Mondiali di Calcio di Italia ’90, quando ci fu la possibilità di ammodernare stadi e strutture, forti di un evento importantissimo e in un contesto storico in cui il movimento italiano era il numero uno. Risultato: si privilegiarono logiche di clientelismo e di mera convenienza politica e così vennero costruiti spesso stadi con le piste di atletica, poi rimaste inutilizzate, penalizzando la visibilità degli spettatori, troppo distanti dal campo.
Poi i denari, anche quelli derivanti da ricchi contratti televisivi, furono impegnati per garantire gli stipendi ai calciatori più forti. Per alcuni anni, la Serie A restò così il campionato più ambito ma, nel giro di poco tempo, il “contorno” cominciò ad essere insufficiente.
Nel frattempo, oltre Manica, i club inglesi, alla deriva dopo anni di emarginazione e carestia legati all’affare hooligans, si organizzarono con un forte business plan, creando l’odierna Premier League.
Misero al centro lo spettatore, garantendo uno spettacolo il più possibile fruibile da tutti, grandioso sia per tifosi seduti allo stadio che per le tv.
Alla fine della fiera, sappiamo che la Premier è divenuta una specie di Superlega con introiti da capogiro, mentre la Serie A annaspa, alla continua ricerca di una direzione, che non sembra mai trovare.
Alla fine si è ottenuto un progetto sostenibile, che riesce a “reggersi da solo”.
Ecco, gli Equity Fund cercavano e cercano tuttora proprio questo tipo di “attività”, in forte crescita o comunque con valide prospettive di sviluppo: in questo contesto, l’investimento, anche sostanzioso, potrà essere poi remunerativo e creare profitto (la “stella polare” di questi soggetti).
Da ultimo, in occasione del recente lancio della futura nuova lega satellite dell’NBA in Europa, Adam Silver, il Commissioner, ha chiarito proprio come il concetto di sostenibilità del progetto sia alla base di ogni ragionamento e, non a caso, tra i soggetti interessati ci sono molti fondi di investimento.

“Vogliamo fare e unire un unico ecosistema sostenibile del basket europeo. Tutti devono guadagnare di più“.
CONCLUSIONE
Come premesso, in questo articolo si è cercato di delineare i contorni di questo aspetto così importante per lo sport, anche per ciò che riguarda i diritti televisivi, mentre in una prossima puntata della rubrica proveremo a capire quali siano i benefici, le strategie e, magari, faremo una breve carrellata su alcuni dei Fondi più importanti, per capire come si muovano e dove abbiano messo i loro denari.
Matteo Zaccaria | Coltiva la passione per tutti gli sport (tranne il cricket, che rimane un mistero), ma non ne pratica neanche uno (!). Avvocato vicentino, ma non “magna gati”. Appassionato del racconto sportivo in tutte le sue forme. Ritiene che se ti svegli nel cuore della notte per guardare una finale NBA, o hai una passione, o un problema, oppure entrambe le cose!
“Mi piace guardare lo sport in Tv. Contrariamente ai film non sai mai come va a finire” (Michael Douglas).