Cara Coppa Davis,
ti vogliamo bene. Tanto. Non solo perché adesso (non proprio tu, a dire il vero, ma una copia per la verità un po’ striminzita: e magari qualcuno durante la tua comparsata al TG1 si fosse preso il mal di pancia di dire che quella non eri davvero tu ma un miniclone itinerante: vabbè, che vuoi che sia) sei nostra per almeno un anno. Ma perché il tuo fascino, per quanto in parecchi ci abbiano messo del loro per deteriorarlo è rimasto vivido attraverso gli anni. Sarà perché quando qualcuno ti solleva non si tratta di un sollevamento come gli altri. Bisogna prenderti dal basso a braccia a aperte con la circospezione che è dovuta agli oggetti che hanno oltre un secolo di storia e in quella posizione delle mani c’è qualcosa di ostensorio, quasi di religioso. Dicono che perfino la Coppa dei Campioni, la Coppa-dalle-grandi-orecchie, sia profondamente invidiosa della cura con cui si avvicina a te chi ti deve sollevare.
Comunque: visto che adesso sei idealmente accasata da noi abbiamo alcune richieste da sottoporti. Tu sei ascoltata da tutti e ci mancherebbe pure che non lo fossi dopo che le diplomazie di mezzo mondo si sono servite di te nel corso degli anni, per gli scopi più disparati. Dunque ti chiediamo umilmente di prendere i tori per le corna e metterti al centro della scena.
Chiama al tuo cospetto coloro i quali, nella Federazione Internazionale, si occupano di gestire le tue vicende, oltre che lucidarti periodicamente. Dì loro che così non va. Che meriti molto di più di una fase finale a fine novembre in una città spagnola (senza la Spagna in campo: ma su questi puoi fare poco) con gli spalti pieni solo per la finale e con rappresentanze di tifosi sì rumorose (pure troppo) ma appena poco più che sparute. Eri una manifestazione di popoli: a seconda di dove si giocava c’era l’inferno o quasi (le infradito di Maceiò che cadevano sulla testa di Pescosolido…), qualche volta pure oltre i limiti (Panatta in Spagna che sale sugli spalti per prendere a pugni uno spettatore, versione tennistica di Ron Artest nel rissone fra Pacers e Pistons che sarebbe arrivato nel 2004) ma insomma: c’era la gente vera. Non spettatori-figuranti in qualche modo sovvenzionati dalle diverse federazioni, benestanti appassionati di tennis e desiderosi di qualche giorno di sole e turismo nel sud della Spagna oppure residenti agèe in loco. Certo, i gironi preliminari garantiscono che tu, cara Coppa, abbia visibilità anche altrove: ma quel senso di avventura che accompagnava ogni incontro si è perso. Fai in modo che non sia per sempre.
Già che ci sei intervieni anche sui giocatori. Quelli che si danno battaglia (o almeno dovrebbero) per sollevarti nel modo circospetto e rispettoso di cui si è parlato prima. Ricorda loro che non sei una competizione come un’altra e che, non foss’altro per la storia che hai vissuto, devono essere loro a sperare di poter competere mentre tu li guardi dal tuo nobile trespolo. Sei tu e nessun’altra pseudo esibizione a squadre che dovrebbe sancire chi è campione vero e chi no: e solo chi mette il suo talento a disposizione di una squadra può dirsi tale. Dì ai tuoi funzionari che bisogna cambiare format, date, condizioni e che forse bisogna tornare a giocare tre se su cinque, come gli Slam. Imponiti, fai la voce grossa.
Già che ci sei fai i complimenti a Sky per come ti hanno raccontata nei giorni del trionfo di Sinner e compagni. Ricorda a Marco Fiocchetti e agli membri dello staff Rai che il pubblico del tennis è, se possibile, ancora più esigente ed attento di quello del calcio e che non si devono sbagliare i cognomi, si deve trasmettere sempre la sensazione di aver mangiato pane e tennis da quando si era ancora attaccati al seno materno e non di aver studiato il bignamino qualche ora prima.
Striglia chi ti ha infilato in una brutta figura istituzionale: tu da Mattarella ci saresti andata pure volentieri, è chiaro. Ma nessuno si deve permettere di utilizzarti per scopi suoi. Sei la Davis, e che cavolo.
Cara Coppa Davis, siamo felici che tu abbia resistito fino a oggi. Se fossi un’attrice avresti i volti meravigliosi di Helen Mirren o di Maggie Smith. Convoca tutti coloro che oggi si riempiono la bocca col tuo nome e chiedi rispetto. Perché la tua storia è ben lungi dall’essere conclusa anche e soprattutto per merito di una squadra di ragazzi dai sorrisi veri, felici oggi come ieri. Un sorriso che ha ricordato quelli che Don Budge e il barone Von Cramm si scambiarono nel luglio del ’37 a Wimbledon dopo la partita (era una finale interzone) più bella di tutti i tempi. E il Barone sorrideva nonostante avesse perso e sapesse che Hitler non gli avrebbe perdonato quella sconfitta.
Chiedi rispetto e quando qualcuno te lo nega scatena tu l’inferno. Noi saremo al tuo fianco.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Ha pubblicato a giugno 2023 il libro “Chi ha rapito Roger Federer?” (Absolutely Free).
Collabora con il quotidiano Domani, cura per Sport in Media la rubrica “La Nuca di McKinley” e durante i Mondiali di calcio 2022 ha realizzato la video-rubrica “Qatarinfrangenze“.
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