SPORTinMEDIA ha incontrato mister Gianni De Biasi, protagonista anche in TV nel ruolo di commentatore tecnico e opinionista. Una bella chiacchierata sul mondo dei media, con una persona decisamente sopra la media calcistica per visione, linguaggio e capacità di analisi. Tra l’altro, l’ex CT dell’Albania (divenutone cittadino onorario dopo la memorabile qualificazione a Euro 2016) ha lavorato e collaborato con tutte le principali reti televisive nazionali: Mediaset, Sky e Rai, oltre che con Urbano Cairo, uno dei principali protagonisti del mondo mediatico-sportivo.
Gianni De Biasi, partiamo dai tempi in cui eri giocatore. Possiamo dire che, all’epoca (anni ’70/’80), il rapporto con i giornalisti era più diretto e meno filtrato? Sicuramente. C’era un risvolto più umano, non c’erano di fatto barriere, addetti stampa, procedure complicate.
Per un allenatore moderno saper comunicare e relazionarsi con i media è ormai parte integrante del mestiere. Come ti sei posto all’inizio della carriera? Hai modificato il tuo modo di interagire con i media? All’inizio ho sbattuto il naso diverse volte. Da giovane hai un ego notevole, ti senti inattaccabile e pensi di avere sempre ragione. Poi, con gli anni e l’esperienza, sono riuscito a smussare questi spigoli, creando meno conflitti. ll motto è “non abbattere gli ostacoli, ma aggirarli”.
C’è qualche aneddoto particolare legato al mondo del giornalismo? Beh, ce ne sarebbero moltissimi. A Torino, per esempio, la rivalità con la Juventus è molto sentita e i media spingono su questa contrapposizione. Una volta, da uno scherzo in spogliatoio, nacque, per una comunicazione sbagliata, un vero e proprio caso con un giornalista che mi disse che aveva saputo che due miei giocatori si erano picchiati. Non era vero, ma per evitare problemi e discussioni concessi un’intervista esclusiva a quel giornalista. Questo piccolo episodio fa capire come i media vadano affrontati e gestiti con attenzione ed equilibrio.
Parliamo dell’esperienza al Brescia dove trovasti Roberto Baggio all’ultima stagione da professionista. Come hai gestito le attenzioni mediatiche verso il Divin Codino? Roby era (ed è tutt’ora) un anti-personaggio e si sapeva gestire alla grande, sia in campo che fuori. Era innamorato del calcio (ma amava allo stesso modo la caccia). Lui era un idolo in Italia, ma anche in Oriente. Ricordo che, molto spesso, fuori dagli alberghi dove alloggiavamo c’erano gruppi di turisti giapponesi in delirio che lo aspettavano per foto e autografi.
A Torino hai incontrato Urbano Cairo, agli inizi nel mondo del calcio. Oggi Cairo è un personaggio centrale del panorama mediatico-sportivo. Ti ha stupito questa sua crescita? Si notava già all’epoca la sua sensibilità verso tutto quello che era TV, giornali, radio, ecc.? Una delle cose che più mi ha fatto piacere leggere in questi anni è una sua intervista in cui si è detto rammaricato, chiedendomi scusa, per il comportamento che ebbe con me. All’inizio era ovviamente inesperto e si faceva consigliare e condizionare in alcune scelte. Dopodiché ha capito perfettamente i vari meccanismi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non mi stupisce. È un imprenditore straordinario, con un’intelligenza e una velocità di pensiero fuori dal comune.
Albania. Qui potresti scrivere un libro. Raccontaci l’esperienza dal punto di vista mediatico. Avevo costruito un rapporto molto bello con media e giornalisti. Capirono subito che non andai là per svernare ma per far crescere il movimento. La qualificazione a Euro 2016 ha aiutato anche il Paese, sprigionando un’energia straordinaria. L’Italia, poi, è sempre stata vista come il modello mediatico da seguire.
Come hai gestito il rapporto con i media durante un grande evento come Euro 2016? È stata un’esperienza vissuta con una grandissima adrenalina da tutto l’ambiente. La nostra qualificazione ha destato un interesse diffuso, anche in altri Paesi, persino in UK e USA. L’Indipendent e il The Telegraph dedicarono ampio spazio alla nostra impresa, indicandomi come uno dei primi 5-6 allenatori al mondo. Ritrovai anche il mio faccione sulla rivista della British Airways.
Parliamo di TV. Hai collezionato diverse esperienze in tutte le principali Reti nazionali (Sky, Mediaset, Rai) sia come telecronista che come opinionista. Qual è il ruolo che prediligi? Mi piace maggiormente la telecronaca perché sono più coinvolto nell’evento, nella partita. Lì emerge maggiormente il mio mestiere, con la possibilità di leggere le azioni e le mosse degli allenatori. Anche fare l’opinionista ha i suoi lati positivi, anche se, ad esempio, sono più in difficoltà nel porre delle domande ai colleghi al termine di una partita, soprattutto dopo una sconfitta.
Hai ricevuto degli insegnamenti su come affrontare le telecronache? No, in realtà sono sempre andato a braccio, cercando di capire i tempi e di leggere al meglio la partita. Ho avuto anche la fortuna di lavorare al fianco di professionisti straordinari come Pierluigi Pardo, Massimo Callegari, Alberto Rimedio che mi hanno facilitato il lavoro.
C’è qualche personaggio televisivo con cui hai legato maggiormente? Ho dei buon rapporti con tutti, ma devo dire che Alessandro Bonan di Sky Sport è un amico anche al di fuori degli studi televisivi perché condividiamo una visione simile della vita. Lui è leggero, preparato, umile e ironico. Una persona straordinaria. Anche Gianluca Di Marzio è un carissimo amico.
Un’ultima cosa. Tra pochi giorni parte Italia Football Talent, il tuo camp estivo organizzato assieme al tuo collega e amico Otello Di Remigio. Cosa ci racconti di questa nuova esperienza? Insieme ad Otello abbiamo deciso di organizzare queste due settimane di camp in due località meravigliose come Cortina d’Ampezzo (22-28 giugno) e Corvara in Badia (29 giugno-5 luglio). Vogliamo trasmettere la nostra esperienza calcistica ai ragazzi che vogliono arrivare in cima alla salita. E anche se non dovessero farcela, il Camp è un momento unico di arricchimento, di formazione e di crescita personale. Attraverso il calcio si vive un’esperienza di cui far tesoro per tutta la vita.