Recitare il ruolo delle vittime del sistema, stritolate dalla poca democrazia e dal poco equilibrio nella distribuzione dei diritti televisivi. Questo è quanto hanno fatto – chi più, chi meno – i club medio-piccoli in questi 10 anni di ripartizione collettiva dei soldi provenienti dai diritti TV. Vero, la precedente legge Melandri-Gentiloni era meno equilibrata rispetto a quella attuale, ma ha comunque ricoperto di centinaia di milioni di euro i club di Serie A. Nonostante ciò, la maggioranza dei club non ha costruito nulla, zero. Niente stadio di proprietà (in alcuni casi nemmeno l’ombra di un progetto), miglioramenti pressoché inesistenti della parte commerciale o di quella marketing, pochissimi investimenti nei settori giovanili, nessuna squadra B. Niente. Anzi, in alcune situazioni i soldi dei diritti televisivi sono serviti a malapena per pagare gli stipendi ai calciatori e le commissioni ai procuratori. Un disastro che ha portato il calcio italiano a una crescita inesistente, sia dal punto di vista sportivo che da quello commerciale e finanziario. E anche se è più semplice prendersela con i club medio-grandi – non privi di colpe, sia chiaro – i principali responsabili di questa situazione sono i club medio piccoli che non hanno saputo introdurre una gestione virtuosa, innescando dal basso una rivoluzione necessaria. Solo Atalanta e Sassuolo si sono consolidate sia sul fronte sportivo che su quello d’impresa. L’Udinese ha costruito lo stadio di proprietà ma si è dimenticata la squadra. Stop.
Per capire bene di cosa stiamo parlando, ecco quanto hanno incassato le squadre di Serie A dai diritti TV nella stagione 2018/2019:
Ed ecco, per avere un’idea generale del rapporto “ricavi da diritti TV-costo degli stipendi”, gli ingaggi lordi delle 20 squadre di Serie A nella stagione appena conclusa:
Incrociare i due dati è operazione assai semplice, così come interrogarsi sulle conseguenze di tutto ciò. Le domande da porsi, annose e retoriche, sono tante: ma cosa diavolo hanno fatto i club di Serie A con tutti i milioni di euro ricevuti in questi anni dalle televisioni? Per quale motivo, nella stra-grande maggioranza dei casi, non sono riusciti a innescare un percorso virtuoso di crescita sportiva e patrimoniale? Nonostante l’esempio degli altri campionati, per quale ragione i club medio-piccoli non hanno diversificato le loro entrate, restando aggrapati ai soli diritti TV? La risposta, forse banale, forse superficiale, è che i club sono stati gestiti non come aziende da (almeno) 50-60 milioni di euro di fatturato, ma come delle associazioni sportive di grandi dimensioni, senza managerialità e visione d’impresa. Proprietà fumose, avventurieri, presidenti privi d’interesse o motivazione nel voler far crescere il club. O ancora, ex giocatori privi di competenze, amici degli amici, procuratori influenti, traffichini. È questo l’ecosistema del nostro calcio (al netto di qualche raro esempio positivo). Inoltre, la Lega Serie A, anch’essa senza una struttura adeguata, non è stata mai in grado di sviluppare quella politica di indirizzo e promozione che sarebbe stata fondamentale per indicare la rotta ai singoli club. Insomma, un bel disastro in cui i club medio-piccoli hanno avuto un ruolo determinante. Il problema è che ora bisognerà recuperare il più velocemente possibile il terreno perso e gli anni buttati via. Auguri.
P.S., per chi chiede un confronto – classico – con la Premier League, ecco la tabella con quanto hanno incassato (in sterline) i club inglesi nel 2018/19: