È stato un classico weekend calcistico italiano: da domenica pomeriggio il campo di gioco è completamente sparito dalle cronache per lasciar spazio alle consuete “polemiche di fuoco” (cit.) su arbitri, VAR, regolamento e relativa interpretazione, con tutto il classico repertorio fatto di piagnistei, complottismo, ricusazioni e chi più ne ha più ne metta.
Spoiler: sarà sempre così, anche tra 50 anni.
Ecco alcuni spunti generali, che possiamo ritenere sempre validi.
N.B., non è una difesa della classe arbitrale, ma un’analisi di quanto avviene settimanalmente nel mondo della Serie A.
LE INFINITE FATTISPECIE E LA ZONA GRIGIA | Il calcio è uno sport unico, che presenta infinite situazioni/fattispecie di gioco, impossibili da codificare in modo integrale. E non, si badi bene, per volontà dolosa/colposa dei dirigenti, ma per la natura stessa del gioco, in cui di fatto non esistono due situazioni identiche. Esempio di scuola: i falli di mano e l’intensità dei contatti. È semplicemente impossibile codificare in modo oggettivo tutte le fattispecie. Ciò significa che esisterà sempre un’ampia zona grigia regolamentare, con la conseguente, INEVITABILE, soggettività nelle valutazioni arbitrali e relative decisioni dubbie/discutibili e financo errori (ridotti in modo drastico dal VAR, ma INELIMINABILI in senso assoluto).
NON C’È UNIFORMITÀ!! | Un concetto ingannevole che viene spesso tirato in ballo riguarda “la mancanza di UNIFORMITÀ di giudizio”. L’uniformità è semplicemente IMPOSSIBILE da raggiungere proprio per quanto detto sopra, cioè per la natura stessa del gioco, con fattispecie pressoché infinite e per la soggettività delle valutazioni (ogni persona valuta le situazioni di gioco dubbie in modo personale). Si può chiedere maggior COERENZA con quanto si vede a livello europeo, ma qui si entra nel campo delle “buone intenzioni”, considerando il tipo di approccio italiano alla questione.
OSSESSIONE PATOLOGICA | In Italia, infatti, c’è un’ossessione patologica verso arbitri e moviola. Un’ossessione che è il risultato tossico di vari fattori: cultura dell’alibi, cultura del sospetto, vittimismo, gusto per la polemica, maggior attenzione e interesse per le questioni collaterali (moviola, calciomercato, inchieste, bilanci, fantacalcio) rispetto al gioco vero e proprio. Il calcio, poi, è il gioco di squadra a punteggio più basso e un rigore/espulsione/fallo possono influire in modo sostanziale sul risultato finale. Tutto questo porta a vivisezionare ogni minima situazione di gioco, con avvelenamento costante dei pozzi. Le responsabilità per questo clima sostanzialmente irrespirabile vanno equamente divise tra gioca(t)tori, allenatori che protestano in campo e davanti alle telecamere, dirigenti che si presentano alle Tv al posto degli allenatori per gridare al mondo lo scandalo arbitrale della giornata (dimenticando i presunti favori precedenti), media che sguazzano in mezzo alle polemiche e tifosi che infestano i social di insulti, ma soprattutto di video e screenshot che dimostrano il furto subito e il trattamento diverso rispetto ad altri club.
DIVERSI METRI | Tali polemiche e discussioni si amplificano in modo clamoroso quando si parla di Serie A. Provate a osservare la diversità di approccio/reazione dinanzi alle questioni arbitrali nell’ambito delle Coppe Europee. Anche in caso di errori – in alcune situazioni anche più evidenti e gravi di quelli che accadono in Italia – si finisce tendenzialmente per considerarli come parte del gioco, senza farla troppo lunga. Di fatto, si accettano di buon grado, spesso sottolineando come in ambito europeo il VAR venga utilizzato molto meno e solo per casi davvero gravi: “In Europa c’è un altro metro arbitrale” (pluri-cit.). E anche le statistiche relative ai calci di rigore nei principali campionati europei dimostrano come la Serie A sia il campionato dove si fa maggior ricorso al VAR e si assegnano più rigori.
CORTOCIRCUITO | E proprio qui si innesca il cortocircuito di cui spesso non ci si rende conto. Il fatto che in Italia il VAR venga utilizzato in modo più massiccio rispetto a quanto succede nelle Coppe Europee e nei principali campionati, Premier League in primis, è proprio il frutto del modo di concepire e vivere le partite in Italia. Ogni singola azione viene vivisezionata, ogni arbitro è sottoposto al giudizio universale di giocatori, allenatori, dirigenti, telecronisti, giornalisti, moviolisti, tifosi. Sui social e sui media si scatenano i suddetti dibattiti con annessi video e foto d’archivio sui casi del giorno. Dibattiti che possono durare dalle poche ore ai 2-3 giorni, in base all’importanza delle squadre coinvolte e alla gravità del (presunto) errore.
In un contesto simile, proprio per evitare o ridurre al minimo critiche, proteste sguaiate e processi mediatici, molto spesso gli arbitri finiscono per scegliere la via della deresponsabilizzazione, demandando le decisioni dei casi più controversi all’analisi video. In questo modo, però, si finisce per creare una tipologia di arbitraggio presente solo in Italia, con un ricorso costante ed eccessivo allo strumento tecnologico. Una specie di moviola in campo – straordinaria vittoria postuma di Aldo Biscardi – con il VAR che spesso interviene anche in casi al limite del ridicolo, offrendo peraltro una facile argomentazione ai critici/complottisti nelle situazioni in cui dovrebbe intervenire e resta invece silente.
FUTURO | Ma quindi, in Italia si uscirà mai da questo cortocircuito e si ridurranno mai le polemiche per le decisioni arbitrali? No, mai. Il modo di vivere e intendere il calcio in Italia è questo e per uscire da questo cortocircuito occorrerebbe una vera e propria rivoluzione culturale, che dovrebbe coinvolgere scuola (…), famiglie (…), ambienti calcistici di base (…), media (…). Semplicemente impossibile e inimmaginabile. Per i motivi di cui sopra è molto più semplice continuare a sguazzare nelle polemiche, molto spesso ignorando bellamente il regolamento (nella 7^ giornata di Serie A un paio di protagonisti hanno dato ampia dimostrazione di ignoranza regolamentare).
Sarebbe molto più interessante se tutti coloro che propongono palliativi tipo “il VAR a chiamata” (non sposterebbe di un centimetro le cose, anzi, si innescherebbero ulteriori polemiche perché nei casi dubbi è probabile che gli arbitri propenderebbero per la difesa delle loro decisioni), concentrassero i loro sforzi sull’unica vera battaglia regolamentare da condurre (battaglia iniziata da Rino Tommasi negli anni’90…): l’introduzione del tempo effettivo come in qualsiasi sport degno di questo nome. Come detto, già il calcio prevede una miriade di situazioni soggettive/interpretabili, perciò sarebbe cosa e buona giusta avere almeno 3 elementi uguali e oggettivi: le dimensioni del campo, il pallone e il tempo di gioco. Invece, in questo buffo sport, ogni partita dura un tempo variabile e indefinito, con tutti gli annessi e connessi di scene, scenette, perdite di tempo e conseguenti isterismi e polemiche sul tempo di recupero accordato. Si potrebbe iniziare da qui. Non è mai troppo tardi.
Su questi argomenti, trovate un ampio approfondimento nel libro “#SiamoQuesti – Viaggio tra i paradossi dello sport italiano“.
#SIAMOQUESTI | VIAGGIO TRA I PARADOSSI DELLO SPORT ITALIANO
Come fa l’Italia a essere una delle nazioni più forti al mondo in tantissimi sport, nonostante gli enormi problemi nel rapporto scuola-sport, malgrado una popolazione tra le più sedentarie al mondo, un’impiantistica inadeguata, una cultura sportiva limitatissima e un sistema mediatico-sportivo più attento a click e interazioni che a divulgazione e racconto?
#siamoquesti prova a rispondere a queste domande attraverso casi concreti, numeri e documenti, analizzando a fondo i 5 ambiti che dovrebbero essere alla base di ogni sistema sportivo virtuoso, approfondendo le dinamiche dello sport d’élite e individuando i motivi di questa competitività, apparentemente inspiegabile.
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