“Nel ciclismo di Eurosport c’è un mago che capisce tutto prima” | La Nuca di McKinley (#18) di Piero Valesio

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Perché si ama ancora il ciclismo? Qual è il segreto di uno sport fantastico che ha alternato discese ardite e risalite tremende? E che vede ragazzini di poco più di vent’anni dotati di un fisico da sherpa nepalese scalare strade dove il naso tocca l’asfalto tanta è la pendenza a una velocità media che tanto tempo fa si registrava in volata? Perché, scriveva Gian Paolo Ormezzano in una antica ma preziosa storia delle due ruote, il ciclismo è alfabeto. Di emozioni, strategie, fatiche, vita. Ecco perché il ciclismo non si può non amare: perché fa risuonare nel profondo di chi lo segue e lo guarda in tv emozioni primarie, infantili. Guardiamo il Fiandre o l’Amstel ed è come essere nell’utero col pollice in bocca a godere del battito del cuore materno. Non importa se c’è un italiano che corre per vincere: se c’è meglio ma è la corsa che conta. E in tv ormai parliamo di uno spettacolo assoluto.

Il ciclismo è alfabeto. Di emozioni, strategie, fatiche, vita. Ecco perché il ciclismo non si può non amare: perché fa risuonare nel profondo di chi lo segue e lo guarda in tv emozioni primarie, infantili.

Piero Valesio

Analizziamo le corse degli ultimi due weekend: Fiandre a Amstel Gold Race, appunto. Chi scrive le ha seguite su Eurosport, dove la telecronaca del duo Luca Gregorio-Riccardo Magrini è senza ombra di dubbio un plus: non foss’altro perché entrambi (Magrini super) arrivano prima a capire cosa è successo ma soprattutto cosa succederà. È successo alla Sanremo quando il commentatore ha indicato esattamente dove e in che momento sarebbe partito l’attacco decisivo (ci provò Pogačar, ci riuscì Mohorič), è risuccesso al Fiandre prima che Mathieu van Der Poel intortasse Pogačar in una volata da pistards, con tanto di surplace: è successo ancora domenica quando entrambi i commentatori hanno comunicato la netta sensazione che il vincitore della classica della Birra (di un respiro) sarebbe stato Kwiatkovski e non Cosnefroy, come invece diffuso da Radio Corsa.
I bimbi che torniamo ad essere quando guardiamo il ciclismo godono così ben più dell’ascolto di un rassicurante battito materno: ma di voci che ti annunciano cosa c’è la fuori, cosa succede, cosa succederà, cosa è successo. E poi seguire una corsa in tv è un perfetto antidoto contro la frammentazione dei tempi: sei lì e devi aspettare il momento in cui tutto cambia e, grazie all’evoluzione del prodotto, sei anche tu nel gruppo, riconosci i volti e i colori, percepisci chi attacca e chi non ce la fa più. Siamo tutti, ancora una volta, fermi a scalpitare nei sandali aspettando Bartali. E quando scalpitiamo ma non capiamo ci pensa Magrini. Mica è poco.

PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Recensisce in stile sportivo libri non sportivi per la newsletter “Lo Slalom”.

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