In un passaggio del primo episodio della terza stagione uno dei due proprietari del Sunderland, squadra dal glorioso passato che attualmente milita in Championship, la seconda divisione inglese, dice all’intervistatore: “Se Roy Keane fosse diventato il nostro allenatore (siamo nei primi mesi del 2022 ndr) sarebbe stato divertente per la serie Netflix”. Il Sun’land militava in quel momento in League One, era senza coach e tanto per cambiare passava da una sconfitta ad un’altra. Il giovanissimo (24 anni) presidente Dreyfus aveva avviato una trattativa con l’ex stella del Man United che aveva già allenato il club dal 2006 al 2009. Ma ciò che qui preme è sottolineare come il passaggio sopra citato chiarisca che ormai “la serie Netflix” non è più un clamoroso dietro le quinte di una Lega (i tornei Atp e Wta o la Formula 1) ma piuttosto una presenza che si mischia non solo con i conti di chi racconta (il Sunderland nella fattispecie) ma pure negli equilibri con i suoi tifosi e che ne definisce l’immagine anche e soprattutto a livello commerciale tanto quanto, o forse più, dei risultati sul campo.
Se non c’è una serie Netflix che ti accompagna non sei nessuno. Quanto sembrano lontani i tempi in cui le telecamere in uno spogliatoio o negli uffici del presidente erano mal tollerate o addirittura proibite. “Sunderland ‘til i die” (più o meno come Juventus-fino-alla-fine) non fa eccezione alla regola anche se più di altre serie che si muovono nella stessa direzione nutre con più forza un sospetto. Le telecamere entrano sì negli spogliatoi, sono presenti a bordo campo, nell’auto del presidente e nel pub dove i giocatori si sbronzano. Ma la sensazione è che il racconto che ne nasce sia una versione all’acqua di rose di quello reale. Una versione ripulita (fatta salva la sofferenza permanente dei tifosi) di come realmente vanno le cose. In altre parole: il modello “serie Netflix” appare sempre più come una ri-narrazione della realtà che deve possedere alcuni requisiti capaci di attrarre pubblico. Non si tratta di un reportage giornalistico in senso stretto ma di un viaggio che talvolta diventa anche meta-viaggio (nel senso che racconta se stesso) in una determinata fase di quell’evento sportivo. È uno show che soprattutto risponde, come tutti gli show, a regole di economia industriale. Per cui è assai conveniente, ad esempio, raccontare l’up&down del Sun’land soprattutto attraverso i volti e le parole degli abbonati allo stadio, dei tifosi in strada magari inviperiti dopo una sconfitta: non li paghi. Per ogni secondo di immagine di gioco invece si è costretti a sborsare carrettate di denaro. E poi ci avete fatto caso? In tutte le “serie Netflix” praticamente ci attiene al presente storico in cui l’evento si svolge. Quasi non c’è passato. Occhieggiano qui e là rapidi riferimenti alla storia, in questo caso, del club: ma il minimo indispensabile che proprio non si può evitare. Perché la storia per le generazioni Z e seguenti è pesante, non ha appeal. Si vive nell’oggi e subito, un pochino nel domani ma pure si questo si potrebbe discutere. E poi per avere le immagini di repertorio magari bisogna sborsare altre tonnellate di denaro: costa molto meno montare un susseguirsi di primi piani di tifosi e fare di un anonimo abbonato alla guida nelle grigie strade della città il volto narrante, come il “Coniglio” nei romanzi di John Updike.
Nel caso specifico essendo Sunderland un club con tifosi spesso “problematici” e una citta più problematica dei suoi tifosi visto che la morte dei cantieri navali e delle miniere che lì avevano sede ha causato una drammatica debacle sociale, il racconto attraverso quei volti e il confronto fra l’astronave bianca nello stadio e i cantieri abbandonati danno al tutto un colore alla Ken Loach che vale la pena di vedere e con bontà d’animo.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Ha pubblicato a giugno 2023 il libro “Chi ha rapito Roger Federer?” (Absolutely Free).
Collabora con il quotidiano Domani, cura per Sport in Media la rubrica “La Nuca di McKinley” e durante i Mondiali di calcio 2022 ha realizzato la video-rubrica “Qatarinfrangenze“.
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