Qual è il confine che non è opportuno oltrepassare quando si trasmettono in diretta le immagini degli eventi sportivi (e non)?
Senza avere la pretesa di fornire una soluzione a una questione di cui all’interno del nostro paese si discute (peraltro sempre e soltanto nel pieno rispetto del più classico modo italico di affrontare le questioni, vale a dire attraverso un’overdose di parole a ridosso dell’accaduto, che svaniscono con il passare delle ore come neve al sole, riaffiorando poi quando, ciclicamente, l’evento si ripropone) quanto meno dalla sera del 10 giugno 1981, quando il povero Alfredo Rampi cadde in un pozzo artesiano lungo la via di Vermicino (se ci vogliamo limitare agli eventi sportivi, la memoria del sottoscritto non può non andare a quel fine settimana di circa 30 anni fa, in cui a Imola persero la vita ben due piloti, ovvero, più di recente, a quanto capitò una domenica di ottobre in Malesia), quel che è accaduto giovedì 4 aprile durante la quarta tappa del Giro dei Paesi Baschi (unitamente a un messaggio ricevuto qualche settimana prima da un followers della community di Sport in Media: Alessandro Brugnolo) mi ha indotto ad alcune riflessioni sul modo in cui vengono (o dovrebbero essere) trasmesse le immagini di un evento (nella specie sportivo) ritraenti atleti nell’immediatezza di un infortunio, una caduta, ovvero ancora, e purtroppo, di un malore.
Cercando, per un attimo di astrarmi da quello che ho visto con i miei occhi qualche giorno fa (censurabile e priva di alcuna razionale giustificazione la scelta di riproporre replay di quanto accaduto con un sottofondo musicale, ad esempio), mi sono domandato se, in generale, sia corretto mandare in onda in diretta delle immagini di sanguinanti atleti distesi a terra o ripresi mentre vengono trasportati verso un’ambulanza con una maschera dell’ossigeno, oppure sarebbe opportuno non diffondere queste immagini in presa diretta, a discapito, tuttavia, della cronaca dell’evento.
Una domanda alla quale non esiste, secondo me, una risposta, perché, per come la si possa pensare, qualsiasi soluzione presta il fianco a qualche critica.
In taluni casi, sono stati stilati dei protocolli: negli sport più pericolosi, ad esempio, come quelli motoristici, dove è, purtroppo più probabile che un incidente possa avere conseguenze rilevanti sulla salute di un pilota, le immagini non vengono diffuse in diretta né tantomeno vengono riproposti i replay dell’incidente fino a quando non si è certi che l’evento più tragico l’atleta non sia in pericolo di vita o non versi in condizioni di salute particolarmente gravi.
Ultimamente, e quanto è accaduto ad Eriksen ne è la testimonianza, anche in caso di malore o di infortunio particolarmente rilevante in uno sport in cui statisticamente è più improbabile che le conseguenze di un infortunio possano mettere a rischio la vita di un atleta, i registi (che sono coloro che, purtroppo, hanno il compito di scegliere, ove non esistono stringenti protocolli, le immagini da mandare in onda: e vi posso assicurare che le scelte non sono affatto facili) non ripropongono le immagini del malore o dell’infortunio, staccando su altro nei momenti dei soccorsi.
Si tratta di una soluzione che condivido e che permette nel contempo di preservare il diritto di cronaca, grazie ai telecronisti che (generalmente) commentano on site, ovvero alle notizie (in caso di commento da tubo) che arrivano a questi ultimi dai bordocampisti o da chi, produttore o professionista al coordinamento, è fisicamente presente sul posto.
Ma ciò è possibile soltanto nell’ipotesi in cui chi si occupa del commento dell’evento abbia (direttamente o indirettamente) il controllo visivo di quello che accade per poterlo raccontare a noi telepcsportdipendenti, cosa che, al contrario, non accade in quelle competizioni in cui un incidente può occorrere lungo un percorso o un circuito, vale a dire al di fuori del controllo visivo di coloro che commentano.
In questi ultimi sport, difatti, per preservare la cronaca in tempo reale di ciò che sta accadendo, non si può che ricorrere alle immagini.
Ma tutti siamo consapevoli che le immagini possono essere viste da chiunque, specie se la gara viene trasmessa durante le ore diurne, vale a dire quelle in cui davanti a un teleschermo possono essere presenti anche soggetti particolarmente sensibili, come ad esempio, i minorenni.
Di conseguenza, il non mandare in onda le immagini conseguenti a un incidente non garantirebbe la continuità della cronaca di quel che sta accadendo (un tempo, ad esempio era proprio grazie ai telecronisti che sentivamo dire: “le immagini ci aiutano a tranquillizzare i parenti dell’atleta che sono a casa davanti la tv”).
E nel 2024, vale a dire in un momento in cui la remotizzazione delle produzioni televisive si sta sempre più espandendo, la tecnologia sta facendo passi da gigante, perché non lavorare per poter fornire ai telecronisti un canale (un “program”, in gergo tecnico) in cui vengono trasmesse tutte le immagini, ivi comprese quelle delle fasi successive a un incidente, che verrebbero viceversa “filtrate” nel segnale offerto a noi telepcsportdipendenti.
Fatta, ovviamente, salva la possibilità per il soggetto che detiene i diritti di riproporre tutte le immagini (ivi comprese, cioè, quelle viste in diretta dai telecronisti) in differita, beninteso nell’esclusiva ipotesi in cui i contenuti siano stati valutati come non sensibili (e anche qui si potrebbe aprire un ulteriore dibattito su cosa si debba intendere per contenuto sensibile, per chi debba valutare se lo stesso sia sensibile o meno, ecc.) per il pubblico.
Ora, si può essere d’accordo o meno con quanto ho proposto (che, al momento, mi è stato detto, non pare essere tecnicamente percorribile), proposta che incontra il grande limite della ignoranza con cui mi rendo conto di convivere, perché questi temi mi appassionano (ma la passione non può sopperire agli studi) pur occupandomi nella vita di altro.
In alternativa, si può lavorare su altre soluzioni: e mi farebbe per davvero piacere che gli autorevoli professionisti che leggono ogni settimana questa rubrica proponessero qualcosa di concreto per non lasciare cadere questo articolo nel vuoto.
Quel che è certo, e spero si sia tutti d’accordo, è che non si può pensare di affrontare e (in maniera più ambiziosa cercare di) risolvere una questione così spinosa con qualche sproloquio nelle ore successive l’accaduto, riducendola a icona nei giorni seguenti, come purtroppo accade, di questi tempi, sempre più spesso nel nostro paese.
P.S.: ho letto in questi giorni un sacco di commenti su queste tematiche, alcuni condivisibili, altri meno, a riprova di come questo tema sia divisivo per eccellenza. Quel che è certo è che (per l’ennesima volta) il clamore e l’onda mediatica connessa a un evento sportivo non è paragonabile a quella che dovrebbe derivare dalla pubblicazione di immagini (altrettanto, o forse più, cruente) che ci vengono ciclicamente proposte mentre vengono raccontate altre notizie, immagini, la cui diffusione, purtroppo, non provoca di certo un analogo dibattito.
Stay Tuned!
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Wenner Gatta | Avvocato e appassionato dal 1978 di ogni tipo di sport, visto, si badi bene, dalla privilegiata posizione del proprio divano di casa. Dal 2020 socio dell’associazione Nicolodiana e Salvadoriana telepcsportdipendenti. Il suo motto è: “Perché seguire solo un evento sportivo, quando se ne possono vedere tanti contemporaneamente?”. Da marzo 2021 cura settimanalmente sulle pagine di Sport In Media la rubrica “Ultra Slow Mo” dove cerca di raccontare ciò che non si vede dello sport in TV. Durante i giochi olimpici invernali di Pechino 2022 ha invece pubblicato quotidianamente sempre sulle pagine di Sport in Media la rubrica #undòujiāngdaPechino.
Da giugno 2024 ha lanciato Breaking News Ultra Slow-Mo uno spazio per parlare in tempo reale e in modo telegrafico di telecamere particolari, di grafiche innovative, di novità delle produzioni televisive.
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