Si è conclusa da poco più di una settimana la 104ma edizione del Giro d’Italia, competizione ciclistica che si è disputata sotto l’attento controllo del Video Assistant Referee, strumento tecnologico impiegato anche nel ciclismo dal 2018 nella maggior parte delle competizioni organizzate dall’UCI per coadiuvare la giuria nel difficile compito di far rispettare il regolamento durante un evento sportivo in movimento, qual è, per l’appunto, una corsa ciclistica.
Il primo corridore a farne le spese fu il ciclista gallese Luke Rowe che in occasione del Giro delle Fiandre del 2018 venne squalificato per aver tenuto un comportamento ritenuto pericoloso per sé stesso e, soprattutto, per il pubblico, nel tentativo di accaparrarsi le posizioni più avanzate del gruppo per affrontare un tratto di pavé.
Decisamente più massiccia fu invece la squalifica che venne comminata dalla giuria di gara, sempre attraverso l’utilizzo del Var, in occasione della Scheldeprijis del 2018 (una corsa in linea maschile di ciclismo su strada che si svolge ogni aprile nella provincia di Anversa, in Belgio), durante la quale venne squalificato un intero gruppo di corridori, rei di aver attraversato i binari di una linea ferroviaria mentre si stava abbassando il passaggio a livello.
Episodio non dissimile a quello verificatosi durante la decima tappa del Giro d’Italia che si è appena concluso, in occasione della quale, invece, i fuggitivi sono stati più disciplinati, attendendo, loro malgrado, il passaggio del treno, episodio, che, a differenza di quello del 2018 non ha comportato l’irrogazione di sanzioni da parte della giuria.
In proposito, mi preme evidenziare come la giuria abbia la possibilità di visionare (e di rivedere in loop) all’interno del furgone ove siede il Giudice deputato alla visione del Var le immagini provenienti dalle moto ripresa, dagli elicotteri, nonché dalle telecamere fisse all’arrivo. Ma non solo: a fianco a questi mezzi di ripresa tradizionali, il giudice compulsa sempre in tempo reale alcuni profili twitter di utenti che seguono la competizione, perché, in alcuni casi, proprio attraverso di loro è possibile andare a scovare quel qualcosa che il giudice si è perso durante la diretta.
L’obiettivo è naturalmente quello di far rispettare il regolamento della competizione, andando a sanzionare eventuali sue violazioni, come, ad esempio, quelle commesse dai corridori che sfruttano la scia di un’ammiraglia (in questo caso, attraverso i Gps nelle bici possono essere sanzionati coloro che pedalano in scia per più di 500 metri, violando così l’articolo il comma 4.7 dell’articolo 2.12.007 del Regolamento), ovvero, com’è capitato durante la quarta tappa dell’ultima edizione del Giro di Turchia, coloro che non mantengono durante la corsa una posizione che mette a repentaglio la sicurezza, loro, o degli altri corridori, come per l’appunto il ciclista britannico Alexander Richardson, squalificato perché pedalava con entrambi gli avanbracci appoggiati sul manubrio, posizione, quella assunta, giudicata non di sicurezza per l’eventuale utilizzo dei freni.
Ma oggigiorno il Var viene utilizzato principalmente per sanzionare quei corridori che si disfano dei rifiuti o delle borracce al di fuori di quelle ben precise zone nelle quali possono essere gettati: in una tappa ce ne è una ogni circa 30 km (lunga circa 1 km) al cui interno possono essere lanciate le borracce, le cartacce e i vari tipi di rifiuti. In una corsa a tappe, in caso di trasgressione, alla prima violazione viene comminata una multa di 500 franchi svizzeri e deduzione di 25 punti nella classifica UCI; alla seconda, inflitta una penalizzazione di un minuto; alla terza, invece, l’espulsione dalla corsa.
L’articolo in questione è il 12.1.007/8.3 del Regolamento UCI e basterà scorrere i comunicati della giuria ufficiale per rendersi conto come, ad esempio, nel corso dell’ultimo Giro d’Italia siano stati ben 5 i corridori puniti con la più tenue delle sanzioni, ai quali si sono aggiunti ben due direttori sportivi (Giuseppe Martinelli e Stefano Zanatta), entrambi nella quarta tappa. Il rischio, però, è che negli spazi ove è consentito disfarsi di un rifiuto o di ogni altro oggetto avvenga un vero e proprio bombardamento da parte del gruppo dei corridori. Nelle corse di un giorno, invece, la sanzione può essere ben più pesante: ne sa qualcosa al riguardo Michael Schär, che nell’ultima edizione del Giro delle Fiandre è stato fermato per aver lanciato la propria borraccia a un gruppo di tifosi al di fuori di una delle cosiddette aree verdi.
Questo episodio ha dato nelle settimane successiva il la ad un’accesa discussione circa l’opportunità o meno di mantenere questa modifica regolamentare (di recentissima introduzione: 1° aprile 2021), necessaria per rendere ancora più sostenibile da un punto di vista ambientale uno sport come il ciclismo, peraltro green già da diversi anni (basti pensare, ad esempio, al fatto che nella corsa rosa le aree verdi esistono già dal 2013, nonché al fatto che i mezzi al seguito della corsa sono quasi totalmente ibridi).
In tale dibattito, è intervenuto anche il commissario tecnico della nazionale Davide Cassani con un post su facebook, il quale, se da un lato si è detto favorevole nel prendere provvedimenti a carico di quei corridori che disprezzano le più elementari regole in tema di sostenibilità ambientale, dall’altro lato ha rimarcato l’opportunità di mitigare l’applicazione di tale regola, anche al fine di continuare a far vivere a coloro (e sono in tanti, specie i bambini) che si affacciano al bordo della strada per veder passare una corsa ciclistica la speranza di tornare a casa con quella borraccia di cui si è disfatto un campione, il quale, semmai, indossava, quel giorno la maglia rosa.
Wenner Gatta | Avvocato e appassionato dal 1978 di ogni tipo di sport, visto, si badi bene, dalla privilegiata posizione del proprio divano di casa. Dal 2020 socio dell’associazione Nicolodiana e Salvadoriana telepcsportdipendenti. Il suo motto è: “Perché seguire solo un evento sportivo, quando se ne possono vedere tanti contemporaneamente?”.