Il post su X di qualche giorno fa di Michele Moretti mi ha spinto a fare il presente articolo, non foss’altro per avere la possibilità di dare una risposta all’interessante domanda che mi è stata posta, senza dovere lottare con i limiti dei caratteri dei post su X.
Prima però di parlare della produzione televisiva dell’edizione 2024 del Tour of Taihu Lake, la stagione sportiva del grande ciclismo che si è appena conclusa è stata quella che verrà archiviata come la prima in cui nelle grandi corse a tappe sono stati costantemente impiegati i droni, sia quelli stabilizzati, che quelli acrobatici-FPV.
Si è difatti partiti con il loro impiego nella crono a squadre della Parigi-Nizza, per poi vederli all’opera (prima) nel Giro d’Italia (FPV nel corso delle tappe 1, 17, 18 e 19, stabilizzato nella passerella di Roma), dopo di che a Le Tour de France nella cronometro (e tappa) finale di Nizza.
Di riprese del ciclismo tramite il drone abbiamo avuto la possibilità di parlare con gli amici di Robe di Droni di Torino (che si sono occupati proprio delle riprese attraverso il drone nell’ultima edizione del Giro d’Italia) nel corso di una lunga diretta la scorsa estate, durante la quale ci hanno raccontato le criticità, ma soprattutto le potenzialità, di questo tipo di ripresa, anche nel mondo del ciclismo.
Fatta questa premessa, passiamo a esaminare quel che si è visto durante il Tour of Taihu Lake, una corsa a tappe maschile che si svolge in Cina, intorno al lago Taihu, facente parte del circuito Pro Series.
E partiamo dalla disamina del video condiviso da Michele Moretti.
In un primo momento ho pensato che si potesse trattare di una ripresa effettuata per il tramite di una cable cam, ma la visione degli ultimi km della tappa hanno fugato ogni mio possibile dubbio al riguardo, vuoi per un prolungato utilizzo del drone (anzi dei droni, perché, probabilmente erano più di uno) – incompatibile con un sistema di cavi per cable cam che non possono essere tesi per un tratto di strada così lungo -, vuoi per l’assenza di cavi visibile dalla telecamera utilizzata in diretta per la ripresa dell’arrivo (le immagini cui mi riferisco sono quelle dalle 3 ore, 7 minuti e 28 secondi in poi).
A tal fine, è opportuno rimarcare come le immagini delle fasi finali dell’arrivo della tappa (in particolare quelle dell’ultimo chilometro) siano arrivate dalle classiche telecamere fisse dislocate lungo il percorso e non dalla o dalle camera/e presente/i sui droni, che sono state proposte (solo) in differita dalla regia cinese per mostrare il replay dell’arrivo, immagini che sono poi diventate virali.
Tutto il mondo è paese, mi verrebbe quindi da dire, nel senso che, allo stato, anche in presenza di un (relativamente) nuovo mezzo di ripresa, i registi che raccontano il ciclismo preferiscono “andare sul sicuro”, affidandosi alle immagini classiche senza “osare” un qualcosina di diverso, che sarebbe possibile grazie a nuove modalità di ripresa (peraltro, nel caso di specie, la telecamera impiegata per mostrare l’arrivo era posizionata non su di un cestello al centro della carreggiata, ma in basso, a margine della strada e a ridosso del traguardo, fornendo un’immagine schiacchiata e laterale).
La prima risposta alla domanda che mi è stata posta, quindi, è che, se si riflette un attimo, in termini di riprese, il mondo del ciclismo, fatta eccezione per il recente, ma sporadico, utilizzo del drone, negli ultimi anni si è dimostrato abbastanza “conservativo” nel modo di trasmettere e raccontare la gara.
A mio avviso si è investito (e tanto) per garantire una ripresa integrale delle varie gare (o tappe dei Giri), ma, nel contempo, non sono state introdotte nuove modalità di ripresa per raccontare la gara, fatta eccezione, ad esempio, per una cable cam che vediamo da qualche anno sul Kwaremont, ovvero, per l’appunto i droni.
Difficile pensare cosa si potrebbe introdurre: una jimmy jib all’arrivo, ad esempio, qualche microcamera all’interno delle ammiraglie (posto che sulle bici, da tempo, non le vediamo più), ovvero sul tettuccio della macchina su cui sale il direttore della corsa, o cose simili.
Una seconda possibile risposta che mi do è legata a una questione di sicurezza: da un punto di vista normativo la materia non è disciplinata nello stesso modo in tutti i paesi europei. In Italia, ad esempio, una siffatta ripresa, debitamente autorizzata, sarebbe senz’altro consentita.
Tuttavia, il ricordo all’episodio di Madonna di Campiglio è ancora vivo, anche se si tratta di un’era geologica precedente, considerando l’evoluzione di questi mezzi di ripresa, dei relativi sistemi di trasmissione e del notevole loro alleggerimento in termini di peso; ciò, tuttavia, non toglie che un drone che malauguratamente dovesse cadere da un’altezza di una decina di metri su di un gruppo di corridori in transito ad alta velocità provocherebbe di sicuro ingenti danni.
Last but not least: la qualità delle riprese dal drone che, per ovvie ragioni, non è assimilabile alle immagini che ci arrivano da una cosiddetta camera broadcast, differenza che si vede di meno se il video viene riprodotto in un device, mentre emerge in maniera più evidente se le stesse vengono visualizzate in un televisore.
Stay tuned!
Wenner Gatta | Avvocato e appassionato dal 1978 di ogni tipo di sport, visto, si badi bene, dalla privilegiata posizione del proprio divano di casa. Dal 2020 socio dell’associazione Nicolodiana e Salvadoriana telepcsportdipendenti. Il suo motto è: “Perché seguire solo un evento sportivo, quando se ne possono vedere tanti contemporaneamente?”. Da marzo 2021 cura settimanalmente sulle pagine di Sport In Media la rubrica “Ultra Slow Mo” dove cerca di raccontare ciò che non si vede dello sport in TV. Durante i giochi olimpici invernali di Pechino 2022 ha invece pubblicato quotidianamente sempre sulle pagine di Sport in Media la rubrica #undòujiāngdaPechino.
Da giugno 2024 ha lanciato Breaking News Ultra Slow-Mo uno spazio per parlare in tempo reale e in modo telegrafico di telecamere particolari, di grafiche innovative, di novità delle produzioni televisive.