A volte basta un nome per evocare una grande storia. Figuriamoci due. “Villeneuve-Pironi” è il docufilm disponibile su Sky on demand cui, in questi giorni di rallentamento vacanziero, vale la pena di dedicare un’ora e tre quarti. La storia è quella dei due piloti di F1 compagni in Ferrari a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, prima amici poi divisi dall’esito di una sola gara (Imola ’82) e accomunati poi da morti spaventosamente simili nel loro svolgersi: l’uno perse la vita a Zolder nelle prove del Gp del Belgio pochi giorni dopo la gara che aveva rappresentato lo spartiacque nel rapporto fra lui e il compagno di squadra; l’altro ebbe con la morte una frequentazione assai più lunga visto che prima ebbe un incidente (anche questo pressoché analogo a quello di Gilles) in pista dal quale usci vivo per miracolo ma con una gamba distrutta; e poi, anni dopo, perse la vita nel canale della Manica durante una gara di offshore a bordo della barca da lui creata che si chiamava Colibrì: leggerissima e potentissima. E pure questo incidente fu dettato dalla stessa spasmodica voglia di oltrepassare il limite che già era costata la vita a Gilles e quasi una gamba a lui stesso.
Ora: gli elementi che fanno di questo docufilm un prodotto particolare sono due. Il primo è che in realtà si tratta di una profonda e articolata riflessione sia sulla pulsione di morte sia sul senso di colpa. L’intera opera è una sessione psicanalitica che lascia poco spazio allo spettacolo sportivo per addentrarsi, invece, nelle dinamiche dell’animo umano che hanno portato prima a questa rivalità e poi alla sua drammatica conclusione. La tesi mai espressa esplicitamente ma che emerge da ogni singolo dettaglio, è che Villeneuve non abbia accettato il tradimento che l’ex fratello aveva messo in essere precedendolo a Imola; e che questo lo abbia portato, in quel disgraziato sabato belga, a osare un ultimo giro di prova con gomme nuove per colmare il gap dall’ex amico che aveva fatto segnare un tempo migliore.
Ma soprattutto che la morte di Villeneuve abbia rappresentato per Pironi un fardello troppo pesante per la sua anima e che, per tutto il resto della vita, egli non abbia cercato altro che sottoporre sé stesso allo stesso destino dell’amico. La scena della sua auto ferma a motore spento al momento del via del Gp del Canada suo circuito appena intitolato a Gilles (con il povero Paletti che gli piomba addosso perdendo a sua volta la vita) come può non essere vista come un tentativo inconscio di autopunirsi, di farsi travolgere dal destino o da un qualcosa che gli somiglia? Il fatto che poi Didier uscì illeso da quell’incidente non deve aver fatto altro che peggiorare nella psiche di Pironi quell’istinto che covava nel suo profondo. O almeno non è fuori luogo pensarlo.
Il secondo elemento del film è che non c’è un happy ending; serpeggia la sensazione che gli autori avrebbero tanto voluto fare in modo che le vedove di Gilles e Didier si abbracciassero davanti alle telecamere. Ma evidentemente non ci sono riusciti. La moglie di Pironi era incinta di due gemelli quando Didier morì: e quei due figli li habattezzati Didier jr e Gilles. Joann Villeneuve, è vero, non si è opposta. Ma l’ultima sua frase è stata di non-perdono per il tradimento. Da ex moglie di pilota si è spinta a dire che la decisione di Gilles di provare quell’ultimo maledetto giro di prova è stata sua, non dell’ex amico. Ma il senso di lutto che fatica a trovare un’elaborazione è fortissimo e contagio anche il telespettatore.
Pure i figli di Villeneuve (Jacques e Melanie) contribuiscono alla seduta confessando il rapporto spesso tribolato (soprattutto Jacques) con il padre.
Quella di Villeneuve-Pironi è una storia di anime racchiusa dentro auto da corsa. E di un eterno correre che più che temere la fine la ricerca. Da vedere.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Cura per Sport in Media la rubrica “La Nuca di McKinley” e durante i Mondiali di calcio 2022 ha realizzato la video-rubrica “Qatarinfrangenze“.
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