I dati d’ascolto delle reti generaliste piangono, gli abbonati alle pay-tv e agli OTT in qualche caso (Netflix) crollano, le copie vendute di quotidiani di carta sono ai minimi storici. Eppure, eppure. Quando ci sarebbe l’opportunità di cavalcare un evento più unico che raro, una partita di calcio folle (cit. “L’Equipe” e “Sport Mirror”) e meravigliosa la sensazione è che i media italiani viaggino con il freno a mano tirato.
Altro che cavalcare l’emozione, celebrare la follia e la bellezza, elevare a esempio un match dove NON si sono visti calciatori di bassa levatura tecnica e morale cadere come fulminati da uno scorpione a causa di uno spostamento d’aria, sostenere di non avere colpito la palla con la mano quando le immagini mostrano che manco Zaytsev l’avrebbe schiacciata meglio, accusare l’arbitro di turno di essersi comprato la Duna (o la Porsche, fate voi) con i proventi paralleli della loro attività? Una partita mostruosamente bella dove perfino l’arbitro è stato un personaggio positivo. Che tra l’altro non ha fischiato quasi mai perché non c’era nulla da fischiare?
Il dopopartita su Sky, ad esempio, è stato più moscio della partita stessa. Parecchio più moscio. Proprio quando c’era l’opportunità di celebrare un’epifania calcistica che, per chi l’ha vista, ha funzionato da ansiolitico: per novanta minuti lo spettatore si è liberamente lasciato sorprendere dalla bellezza, lasciando fuori dalle coronarie guerre, pandemie, bollette del gas e timori di ritrovarsi da un momento all’altro a essere un soffio del vento. Le prime pagine dei giornali sportivi italiani sono stati il solito e ormai stravecchio coacervo di campanilismo (c’è Bologna-Inter certo, c’è il calciomercato della Juve, c’è Leicester-Roma dietro l’angolo) con spazi minimi dedicati alla succitata epifania e soprattutto all’ondata di bellezza che ha rappresentato; oppure si è ceduto ad analisi tecnico-tattiche che francamente ZZZ, con la consonante in questione, violentata nel simbolismo bellico che ben conoscete, che ri-diventa solo simbolo di sonnolenza incipiente.
Ma è possibile, mi chiedo, che tutti i responsabili non siano su Twitter e su altri social e che quindi non abbiano visto l’ondata di gratitudine che in tutte le lingue tifosi (non solo spettatori) hanno riversato su Guardiola e Ancelotti? Possibile che non abbiano colto che l’occasione era ghiotta: apprezzare tutto ciò la partita ha rappresentato, l’esempio che è diventato, e chissenefrega se Fernandinho non aveva il passo di Vinicius, se Mahrez sbaglia gol che si potrebbe evocare Calloni, se Alaba e la difesa del Real avevano frequenti crisi di narcolessia? (Fantastico titolo di AS: “Bernabeu tiene trabajo”, c’è del lavoro per il Bernabeu)
Certo: meglio filosofeggiare sull’Atletico di Simeone che non passa la metà campo nel match d’andata contro il City e fa un (UNO) tiro in porta nel ritorno. Meglio vedere Inter-Juve finale di Supercoppa con 120 minuti di pedate e noia. Forse perché dalle nostre parti o su molti dei nostri media, rifugiarci in presunte identità territoriali, nel nostro calcio piccolo, maleducato e noioso e in quei pochi che sono come noi all’estero, ci fa crogiolare nella nostra mediocrità. Più o meno come si fa in una circostanza assai meno nobile ma più fisiologica: quando si tarda un attimo di più, con compiacimento, a premere un pulsante liberatore che distrugge le prove del perfetto funzionamento delle nostre funzioni corporali.
E soprattutto: visto che tutti gli indicatori, soprattutto quelli dei giornali, volgono drammaticamente verso il basso perché non provare qualcosa di nuovo? Osare commenti, titoli, colori che peschino nell’entusiasmo delle persone invece di percorrere sempre le stesse strade polverose e vetuste che ormai nessuno legge e in pochi guardano? Perché non provare a ridare valore al prodotto calcio?
Già: perché?
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Recensisce in stile sportivo libri non sportivi per la newsletter “Lo Slalom”.