“Eyes without the face” cantava, con la bocca più storta di sempre (che nemmeno un tennista fisicamente asimmetrico) Billy Idol a metà degli ’80. Nessun brano potrebbe essere più simbolico dell’avventura Dazn col calcio, almeno fino a oggi: occhi (quando ci sono) che non hanno volto, anche quando i volti ben si vedono in video. Dazn non ha una faccia, non ha una griffe, con quel team non ci si può identificare. Fatto salvo il vocione di Pierluigi Pardo che, peraltro, arriva da altre esperienze e non è DAZNativo. Volete un’altra immagine? Eccola. In un tempo lontano un grande vignettista italiano, Giorgio Forattini (allora ai vertici della sua creatività), trovò un modo perfetto di spiegare con il tratto della sua matita il fatto che l’allora presidente del Consiglio, Giovanni Goria, non “bucasse il video”, come si diceva allora; e che trasmettesse la sensazione di galleggiare più che decidere. Nelle vignette di Forattini Goria era una barbetta senza il perimetro del volto. E in questo caso pure senza occhi.
Il “contorno” che Dazn offre (l’insieme di persone, di personaggi, di volti, di espressioni verbali) non fa squadra con chi guarda. Sarà perché eravamo abituati (prima con Rai-Mediaset, poi con Sky) ad essere di fronte a esseri umani riconoscibili e perlopiù rassicuranti nella loro fedeltà ai personaggi che si erano cuciti addosso; ma tutti o quasi (commentatori, bordocampisti, la Leotta e consimili, l’insensato esercito di talent) trasmettono la sensazione di essere lì per caso. E che anche il “lì” sia un (non) luogo di cui è difficile cogliere i confini. Ognuno si presenta in video vestito come gli pare; il che va bene quando sei un ospite, non quando sei un “volto” (arieccoci) del gruppo per di più in piedi, inquadrati a figura intera. Sembra che ci sia un’avversione (fa molto “gggiovane”, ma di questo aspetto riparleremo) al comunicare chi è quel signore che sta parlando in piedi a bordo campo: magari è cambiato da quando giocava e non è detto che tutti sappiano a menadito chi è e che faccia ha, che so, Simone Tiribocchi. Non tutti sono Fabio Capello. Inserire un sottopancia? Nominarlo più spesso quando gli si dà la parola?
Certo manco il bordocampo senza nemmeno una postazione “fissa” (un totem, un tavolino, qualche pallone del delimiti lo spazio) aiuta. I pre e post partita più che un consesso di saggi paiono uno di quei collegamenti dell’intrattenimento pomeridiano generalista in cui una simil-inviata di turno è circondata da passanti che aspettano il loro secondo di celebrità pronti a rispondere a domande su qualsivoglia argomento. Da questo diffuso anonimato si salvano Ambrosini e Guidolin, ma non certo perché lo stile dei programmi ne sottolinei le peculiarità.
C’era una volta un calcio con stadi pieni (al netto della pandemia, d’accordo) e ascolti record in tv. Ora il campionato si gioca in stadi deserti, tranne qualche rara eccezione, e in tv domina il vuoto. Si chiacchierava su cosa avevano detto Beppe Viola e Brera oppure Del Piero e Costacurta e pure Caressa. Oggi, il giorno dopo, la domanda che serpeggia è: ma tu sei riuscito a vedere la partita, ieri? In molti dovrebbero porsi delle domande. E darsi delle risposte. Definitive.
Piero Valesio
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Recensisce in stile sportivo libri non sportivi per la newsletter “Lo Slalom”.