In occasione della Festa del Cinema di Roma 2022, Piero Valesio ha visto in anteprima il docufilm “Er gol de Turone era bono“. Un prodotto che, ancora prima di arrivare nelle sale cinematografiche, ha scatenato un ampio dibattito sui social (strano, eh?). Ecco la recensione di Piero sul docufilm firmato Francesco Micciché e Lorenzo Rossi Espagnol.
Da oggi a dopodomani nelle sale cinematografiche è possibile vedere “Er gol de Turone era bono”, docufilm prodotto da Rai Cinema e Aurora Video per la regia di Francesco Micciché e Lorenzo Rossi Espagnol. Successivamente sbarcherà in Tv. Facile avvertire il brusio che si espande in quelle parti di Italia che non sono Roma: di certo sarà un prodotto local destinato ad un pubblico local: e poi quel gol (altro brusio che si avverte sorgere da più parti, specie quelle ad alto tasso di juventinità) non era bono per niente, non si è mai capito e poi che palle questi che 40 anni dopo ancora parlano del gol di Turone in Juve-Roma del maggio ’81.
Bisogna essere obbiettivi, come sempre. Quello che per brevità chiameremo “Ergol” è di certo una storia romanista. Ma, piano piano, si allarga diventando una storia umanista. Che va ben oltre la inevitabile, e tutto sommato necessaria, divisione tifosa. È una storia di vita, di un calcio anni ’80 e delle curve di ultras che lo popolavano, una storia di comunicazione e di elaborazione del diabolico binomio vittoria/sconfitta. E tutto questo vale la pena di essere visto. Eccome se ne vale la pena.
È una storia di volti. Quelli di Ramon Turone e Pruzzo in primis. Il primo che alla fine del film (piccolo spoiler) rivede su un Ipad per la prima volta da quel giorno l’azione incriminata (Bruno Conti-Pruzzo-Falcao che non ci arriva-Turone che ci arriva benissimo e segna); il secondo che ancora oggi guarda l’azione e non si dà pace. I volti dei capitifosi giallorossi ormai imbolsiti che nel retro di un negozio di tessuti (ne esistono ancora!) raccontano di un’epoca di trasferte eroiche come se si trattasse della battaglia delle Termopili. I volti di Giorgio Martino (ricordate “Eurogol” condotto con Gianfranco De Laurentiis?) che fece imbufalire la Juve anni dopo analizzando la scena del crimine (battuta) con il Telebeam dimostrando che “Ergol” era bono; quello di Carlo Sassi, il padre della moviola che invece diffuse il sospetto che quella elaborazione fosse stata taroccata; il volto di Domenico Marocchino che passeggia sul prato del Comunale con la camicia fuori dai pantaloni ricordando quel match; e quello di Cesare Prandelli (che tentò invano di saltare più in alto di Pruzzo) che non riesce a vedere se “ergol” fosse bono o no perché lui c’era e quei secondi gli sono rimasti addosso come un fallout radioattivo che non se ne andrà mai. E poi il Processo del lunedì (quella dell’80-81 fu la prima edizione) condotta da Enrico Ameri e Novella Calligaris con Biscardi che vestiva i panni del Dio di “Aggiungi un posto a tavola”: una voce fuoricampo che planava dall’alto a redarguire o puntualizzare.
Una storia romanista che diventa umanista: lo sguardo di partenza è quello di chi ancora oggi vive quel giorno come un segno dell’ingiustizia complessiva dell’esistenza. Ma poi, in quell’ingiustizia o presunta tale, ci ritroviamo tutti, come reduci, giallorossi, bianconeri, verdi a pois. E si ride pure: imperdibile l’attore Paolo Calabresi (il Biascica di Boris: occhio che arriva la quarta stagione e scintilla come le altre) che racconta dell’addetto al casello autostradale di Roma Nord che lo guardò al ritorno da Torino e consegnandogli il resto del pedaggio gli disse quasi senza guardarlo: “Ce ne hanno rubata un’altra, non cambierà mai”. Una sorta di Heimdall della saga di Thor, il guardiano del ponte dell’Arcobaleno che per definizione prende atto, blocca o fa passare verso Asgard.
Ergol era bono, diciamolo (con la “c” e non con la “g”). Quasi certamente lo era. Magari qualcuno sta già applicando a quelle immagini una nuova tecnologia che svelerà ogni dubbio anche se poi qualcun altro contesterà quella versione con altri strumenti e argomenti. Ma alla fine ci si accorge che siamo tutti come Ramon Turone nell’ultima sequenza del film: il quale, dopo aver visto l’azione che non vedeva da 40 anni, si tira su il bavero della giacca e si allontana, da solo sul lungomare di Varazze. Con sulle spalle il peso di quanto non può essere cambiato. E di un ricordo.
Da romanista a umanista il passo è proprio breve.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
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