Su Sky on demand è disponibile un prodotto che potrebbe anche sembrare uno dei tanti. S’intitola “Attentato al Borussia Dortmund”, è una produzione Sky Germania, dura un’ora e mezza ed è il racconto, indovinate un po’, dell’attentato di cui fu vittima il pullman del Borussia Dortmund nell’aprile del 2017, quando stava portando la squadra allo stadio per il quarto di finale di Champions contro il Monaco. Un evento di cui i più avevano perso memoria anche se allora fu ammantato da un alto tasso di drammaticità: imperversava l’Isis, la memoria uditiva delle esplosioni allo Stade de France, due anni prima, mentre si stava giocando Francia-Germania nella notte spaventosa del Bataclan era ancora vivissima.
Un’esplosione colpi in pieno il pullman terrorizzando i giocatori e provocando un ferito di una certa gravità (frattura di un braccio per Marc Bartra). Le indagini dapprima batterono la strada dell’attentato terroristico di matrice islamista (l’Isis per l’appunto) ma poi, grazie alla segnalazione di un tifoso austriaco del BVB presero un’altra piega che poi si rivelò quella corretta.
Il racconto segue uno schema classico: ci sono le testimonianze di alcuni degli investigatori, di alcuni giocatori, chissà perché non quella di Thomas Tuchel, allora allenatore della squadra, che da uomo capace di elaborare un pensiero magari avrebbe potuto dare della vicenda una lettura interessante. Ma il punto è un altro. Guardando il docufilm si prende drammaticamente coscienza che ormai ci siamo assuefatti a livelli di terrore e violenza tali per cui una bombetta poco più che artigianale che esplode davanti ad un bus provocando qualche vetro rotto e una frattura a un braccio ci sembra uno scherzetto. Non bastano i racconti dei giocatori, i lampeggianti delle auto della polizia, le scene dei tifosi allo stadio che attendono notizie per scuotere l’anima. È come se assistessimo ad un episodio fra tanti, curioso perché generato da intenti che con il terrorismo e la politica c’entra poco.
Alla fine si scopre che al centro della storia c’è chi guarda e le sue reazioni davanti ad un fatto violento più che chi abbia fatto esplodere le bombe. E’ come guardando il docufilm ad un certo punto ci si dica in un sussurro: vabbè, non è successo nulla, alla fine. Cosa vuoi che sia.
Ecco: è quel “cosa vuoi che sia” che fa capire quanto sia cambiata la percezione di fatti violenti e forse quanto siamo cambiati noi. E il prendere atto di questo mutamento non è che ci faccia stare bene, o meglio di prima.
Anzi.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Ha pubblicato a giugno 2023 il libro “Chi ha rapito Roger Federer?” (Absolutely Free).
Collabora con il quotidiano Domani, cura per Sport in Media la rubrica “La Nuca di McKinley” e durante i Mondiali di calcio 2022 ha realizzato la video-rubrica “Qatarinfrangenze“.
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