A quelli di “Death to 2021”, il mockumentary (falso documentario) disponibile su Netflix piace vincere facile. Hanno appena rilasciato l’episodio dedicato all’anno che ci siamo lasciati alle spalle e già la realtà, quella vera, ha consegnato loro bell’e pronto l’incipit del film dedicato all’anno appena iniziato: che non potrebbe non essere il caso Djokovic e soprattutto la narrazione che l’ha accompagnato fino a noi europei da Melbourne.
“Death to…” è un prodotto unico, creato da quelli che con “Black Mirror” prefigurano da anni con lo strumento della fiction, e con largo anticipo, le storture che hanno modificato la vita sociale e politica del mondo. In pratica si butta sul sorriso amaro la diffusa idiozia che c’è dietro eventi spesso drammatici. Mi immagino, ad esempio, Hugh Grant nei consueti panni del professore universitario che non sa mai di cosa parla (vi ricorda qualcuno?) intento a fornire una chiave di lettura dell’affaire che sta vedendo come protagonista il tennista serbo.
Sarebbe, Hugh Grant, l’ospite perfetto del talk show che non c’è stato, almeno dalle nostre parti, ed è lecito chiedersi il perché. Ci avete fatto caso? Tutta la vicenda, che dal tennis si è rapidamente trasferita al campo politico, ideologico e delle relazioni internazionali, sui nostri media ha avuto un’eco tutto sommato ridotta. C’è stata copertura nei Tg e sui canali all-news: ma il cuore del dibattito è avvenuto soprattutto sui social e siti specializzati. Pensate fosse successo da noi: i programmi del mattino delle reti generaliste i contenitori del pomeriggio avrebbero piazzato postazioni fisse davanti all’hotel “ dei migranti” dove Nole è stato recluso, come ad Avetrana davanti a casa Misseri; il giudice Kelly, che ha valutato la bontà del visto di Nole, sarebbe stato inseguito per giorni e se si fosse seduto su una panchina al parco ci sarebbe stato chi (giudice Mesiano docet) avrebbe inquadrato i suoi calzini e ne avrebbe sottolineato l’eccentricità del colore. E avremmo potuto farci mancare, come minimo, una seconda serata Vespiana con la Bruzzone che analizza le ripercussioni psicologiche che la detenzione potrebbe aver causato su Nole, un esperto di relazioni internazionali che disegna il ruolo della Serbia nello scacchiere internazionale e il ruolo della famiglia Djokovic nella politica serba, un paio di intellettuali NoVax e Panatta che la commenta da ex tennista? Invece tali approfondimenti non ci sono stati. Mistero. Strano perché il tema è attizzante. E il motivo non può derivare solo da fatto che tutto il caso si svolgeva down under: semplicemente nessuno l’ha voluto mettere in piedi. E sporcarsi le mani. Forse perché si sarebbe trattato di approfondire e lavorarci con un po’ di voglia? Può essere. O fors’anche perché il terreno era minato e trattandone in modo approfondito si sarebbero corsi dei rischi?
Comunque tranquilli: fra undici mesi e mezzo ci sarà Hugh Grant che ci darà la chiave di lettura giusta in Death to 2022. E capiremo tutto.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Recensisce in stile sportivo libri non sportivi per la newsletter “Lo Slalom”.