L’11 ottobre del 1953 andò in onda la prima puntata della “Domenica Sportiva”. Settant’anni fa. Tre servizi senza conduzione: Inter-Fiorentina, il campionato nazionale della 50 km di marcia vinto da Dordoni e la Tre Valli Varesine vinta da Nino Defilippis. Iniziava un’epoca e chissà quanti, allora, ne erano consci. Il compleanno è celebrato da uno speciale disponibile su RaiPlay e intitolato “70 anni in 70 minuti”.
Per quelli che hanno un’età più o meno concomitante con quella del programma (con un basculamento possibile di una decina d’anni) lo speciale ha una potenza proustiana a tratti devastante. Non si tratta infatti di una storia di alcune pagine dello sport raccontata attraverso i servizi della DS: ma un’immersione nella storia del linguaggio televisivo, nel modo di raccontare gli eventi, nei volti e nelle fisicità che guardavano negli occhi il telespettatore la domenica sera alle 22.30, dell’architettura degli studi (il TV2 di Milano prevalentemente), nell’arte di porre domande, nell’evoluzione delle grafiche, delle sigle, delle scalette. Non c’è tutto e ci sarebbe stato di che meravigliarsi se i curatori avessero colto ogni singolo momento che ha composto la storia del più longevo fra i programmi Rai che si occupano di sport. Mancano, ad esempio, due momenti luttuosi che invece furono occasioni uniche in cui si rese palese agli occhi di tutti che chi si occupa di sport (anche in tv) forse perché maggiormente versato nell’interpretazione e nell’elaborazione delle emozioni e dei sentimenti, sa rapportarsi con la la morte con uno stile che molti altri se lo sognano. Gli eventi furono l’annuncio in diretta di Sandro Ciotti che Gaetano Scirea era deceduto poco prima in un incidente automobilistico in Polonia: e la celebrazione della scomparsa di Beppe Viola (il 17 ottobre del 1982 poche ore dopo essere crollato a terra in Corso Sempione mentre stava montando un servizio), l’uomo che per anni aveva elevato il livello qualitativo del programma fino a vette (l’intervista a Rivera sul tram a Milano, per dirne una) che oggi apparterrebbero al genere fantascientifico.
Nel montaggio magari un po’ arruffato ma efficace ci sono però pagine che sono diventate mattoni capaci di strutturare i pensieri e forse anche le capacità comunicative di intere generazioni. C’è Carlo Sassi che introduce la moviola (le cui immagini erano inquadrate da una telecamera!) con Heron Vitaletti agghindato con il camice azzurro che era la divisa dei tecnici Rai: ci sono Bettega e Brera che litigano l’uno di fronte all’altro dando vita alla concretizzazione visiva di quella rivalità fra la milanesità un po’ saccente impersonata da Giuann e la torinesità understatement e stufa di vedere i cugini che a 150 chilometri (almeno questa era la credenza dell’epoca, mai del tutto smentita) godevano di una visibilità loro preclusa che mai era stata così palese. C’è Tardelli che spiega l’entrata assassina su Rivera al primo secondo di gioco di un Juve- Milan di novembre ‘78, c’è Panatta stizzitissimo perché di colpo nello studio è piombato Pietrangeli (era in atto il “golpe” dei giocatori di Davis ai danni del capitano non giocatore) senza essere stato annunciato.
Il consiglio è di inserire lo speciale sulla DS nella propria lista e di andare ogni tanto a rivederne un passaggio giusto per sapere da dove arriviamo e dove, ahinoi, siamo arrivati.
C’è un solo “problema” che vale la pena di sottolineare. Per tre quarti lo speciale sulla Ds cammina quasi lentamente, indugiando su Enzo Tortora, Alfredo Pigna, Sandro Ciotti, Adriano De Zan, Bruno Pizzul e altri. Diciamo fino a inizio anni ’90. Poi di colpo la velocita cresce, la narrazione accelera, perde di consistenza. Come se l’età dell’oro fosse finita, i guerrieri Jedi sopra citati non ci fossero più, e dell’antica gloria, in un mondo cambiato, non restasse che qualche traccia. I volti si fanno più sfumati, le tracce di Viola sul tram con Rivera si perdono come un ricordo che si fatica a trattenere, quella che era la trasmissione tv che insegnava (anche) il gusto dell’approfondire e pure un certo stile di espressione si annacqua nell’ennesima declinazione (meno urlata, per fortuna) dell’eterno chiacchiericcio televisivo. Perfino i connotati dei volti diventano sfumati confinando talvolta con l’anonimato. E la domanda s’impone: quell’epoca d’oro, della DS, dello sport, dell’Italia, di tutti noi, era affettivamente più bella, nitida, creativa e culturalmente ricca dell’oggi o è solo una sensazione boomer?
Guardate lo speciale su Rai Play, poi mi dite.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Ha pubblicato a giugno 2023 il libro “Chi ha rapito Roger Federer?” (Absolutely Free).
Collabora con il quotidiano Domani, cura per Sport in Media la rubrica “La Nuca di McKinley” e durante i Mondiali di calcio 2022 ha realizzato la video-rubrica “Qatarinfrangenze“.
TUTTE LE PUNTATE DE “LA NUCA DI McKINLEY”
IN MEDIA(S) RES | IL PODCAST SU SPORT&MEDIA