Il fatto è che sui problemi di Dazn e gli attacchi di fegato che il solo nominare questo acronimo già di per sé respingente, pesa una coltre di fumo più pesante di quella che aleggia da mesi sui problemi fisici di Marcel Jacobs. Di cosa abbia patito e perché il campione olimpico di Tokyo da un anno a questa parte si discute senza avere certezze. Perché il campionato di calcio su Dazn sia un disastro costante è un mistero buffering (non è mia ma di Maurizio Crosetti su Repubblica) che nessuno riesce a svelare.
Per metterci una pezza ci vorrebbe una comunicazione degna di tal nome: ma a Dazn sembra che ci prendano gusto a non azzeccarne una manco per caso. O si tratta l’utente come un uomo di Cro-Magnon digitale (“I disservizi dell’anno scorso sono stati anche colpa di molti utenti che lasciano troppi devices collegati mentre vogliono vedere le partite”) oppure ci arrampica sui vetri come successo domenica parlando di “un numero contingentato” di utenti che di Dazn riuscivano a vedere solo la mascherina di errore; quando tutti quelli che avevano avuto l’ardire di trascorrere il ponte di Ferragosto guardando la prima di campionato, erano inferociti per il disservizio dalle Alpi alle Piramidi e dal Manzanarre al Reno, in senso figurato ovvio.
E il tutto succede dopo l’aumento verticale dei canoni di abbonamento, le polemiche sulla doppia utenza e pure la recente scoperta che se vuoi essere “protetto” (perché di fatto è cosi) contro i misteri-buffering e vedere le partite sui canali Sky (non sulla app Dazn) devi sganciare altri cinque euro al mese.
Personalmente del disastro di domenica (lunedì le cose sono andate meglio anche se la famigerata rotellina è ricomparsa sia durante Verona Napoli sia durante Juve-Sassuolo) mi aspettavo una giustificazione più creativa: un attacco hacker proveniente dalla Kamchatka ad esempio. Invece ecco la consueta dazn-nata che ri-scarica sempre le responsabilità e le colpe su qualcun altro, ovvero gli utenti paganti: in troppi, hanno detto dalla costellazione di Orione da dove Dazn opera, hanno effettuato l’accesso contemporaneamente. E ma che cavolo, mancava affermassero, ve l’avevamo detto: se aveste letto le avvertenze pre-campionato che vi avevamo spedito (come il bugiardino delle medicine) c’era scritto di effettuare l’accesso sul device che avreste utilizzato (se poi una cambiava idea cavoli suoi) con anticipo rispetto all’inizio delle partite. Colpa vostra utenti del cavolo, come sempre: vi lamentate perché dovete pagare, perché la qualità delle dirette è spesso infima, mettete il modem nell’armadio della cucina con lo scolapasta invece di erigergli un tempietto nel mezzo della sala (“ad almeno un metro da terra” era consigliato) ma poi accedete tutti assieme. Se tutto va in malora siete voi i responsabili. Penitenziagite avrebbe detto Salvatore, l’eretico del Nome della Rosa.
Ci si potrebbero porre tante domande di ordine tecnico (sugli smart tv ad esempio anche tentando di accedere con il link “lite” diffuso con colpevole ritardo, non si accedeva ad un bel nulla) ma il punto non è questo. Il cuore del Daznastro (Dazn+disastro) è che se il campionato di calcio è un patrimonio emotivo degli italiani, l’atteggiamento tecnocratico e senza volto del gruppo, priva gli utenti di quell’empatia tra media e spettatore che ha radici lontane: nello sguardo dimesso di Tonino Carino e nell’eloquio fiorentino di Marcello Giannini a 90° Minuto, che ha attraversato il triplice “Campioni del mondo” di Martellini per sbarcare fino all’”Andiamo a Berlino” di Caressa e Bergomi. Con Dazn l’utente si trova davanti ad un servizio-computer che contabilizza e colpevolizza. Offrendo in più un prodotto scadente e inaffidabile: chi può oggi essere certo che nelle prossime settimane non sbucherà qualche altro problema? E questa assenza di empatia rischia davvero di uccidere, se non il calcio, almeno lo spettacolo televisivo che sul calcio poggia: assai più della pirateria, la vera ossessione di Dazn.
Nella docuserie (primi due episodi disponibili su Sky) dedicata alla storia della Premier League si narra di quando Rupert Murdoch (non esattamente un agnellino) ricoprì d’oro i club portando la Premier su Sky a pagamento. Gli inglesi non gradirono, si abbonarono con il contagocce e per mesi Murdoch dovette affrontare perdite notevoli. Un giornalista gli chiese: quanto è disposto a perdere per questa operazione? E lui rispose: “Whatever it takes”, ad ogni costo, manco fosse Mario Draghi che salvava l’Italia. Ecco: Murdoch ci metteva la faccia. Sosteneva la sua impresa e provava a farne partecipi pure quelli che avrebbero dovuto pagare. Dazn invece consiglia di mettere il modem su un altarino e, poco prima del crac di domenica, c’è stato anche chi ironizzava via social sui “gufi” che nutrivano dubbi sul fatto che tutto sarebbe andato liscio, quest’anno.
Infine ci sarebbe da ripetere: io nun ce l’ho con te, caro Dazn, ma con chi te manda. Parafrasando Petrolini. Ma quelli che hanno mandato ingoiano il rospo, muovono sì qualche sussurrata richiesta di spiegazioni ma sostanzialmente tacciono. Chissà come mai.
PIERO VALESIO | È stato critico televisivo del quotidiano Tuttosport per oltre vent’anni. Come inviato ha seguito Olimpiadi, grandi eventi di calcio, tennis, Formula 1, Motomondiale e sport invernali. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e ha curato la comunicazione degli Internazionali d’Italia. Ha tenuto e tiene corsi di giornalismo e di comunicazione sportiva. Nel 2015 ha vinto il Premio Coni per la narrativa inedita con il racconto “Marcialonga Blues”. Ha scritto libri per grandi (“E vissero felici e lontani” con Antonella Piperno, Perrone editore) e piccini (“Cronache di Befa”, Biancoenero edizioni).
Recensisce in stile sportivo libri non sportivi per la newsletter “Lo Slalom”.
TUTTE LE PUNTATE DE “LA NUCA DI McKINLEY”
IL PODCAST SU SPORT&MEDIA