Disclaimer. Sono un fan del giornalismo d’inchiesta anglosassone: meticoloso, iper-documentato, oggettivo. Questo tipo di giornalismo, applicato allo sport, ha prodotto dei libri straordinari e, in alcuni casi, ha addirittura permesso di aprire inchieste giudiziarie che hanno poi portato a riscrivere la storia di una determinata disciplina. La cosa che ho sempre ammirato è l’assenza di quel fastidioso sciovinismo che invece pervade quello italiano (salvo rarissimi casi). L’esempio che riporto sempre come massima espressione di questa differenza d’approccio culturale è quello che riguarda la vicenda di Marco Pantani. Il miglior libro scritto sull’intera vita del corridore romagnolo è senza ombra di dubbio quello di Matt Rendell, “The death of Marco Pantani – A Biography“. Un libro-manifesto del giornalismo anglosassone. Fatti, prove, documenti, senza sconti o indulgenze. Bene, questo libro, assolutamente imperdibile per chi avesse voglia di ripercorrere la parabola di Pantani in modo oggettivo, che ha avuto ampio successo a livello internazionale, non è mai stato tradotto in italiano. Nessuna casa editrice ha mai voluto pubblicare questo libro. Motivo? Perché in Italia la ricostruzione mainstream della vita del Pirata ha “imposto” il doppio complotto (Madonna di Campiglio e Rimini), il sospetto che qualcuno avesse voluto incastrare il Pirata. Una doppia tesi complottista più affascinante e più accettabile rispetto a quella documentale. Non è un caso, quindi, che in questi anni siano usciti diversi libri e vadano ancora oggi in onda dei programmi che accarezzano queste tesi, instillando dubbi e incertezze, senza prendere minimamente in considerazione l’enorme mole di dati e prove raccolti da Rendell (e da Andrea Rossini, giornalista di nera che ha seguito da vicino il processo sulla morte di Pantani).
Perché tutta questa premessa-pippone? Perché in questi giorni sta emergendo un caso doping legato al Team Sky (2010-2019). In estrema sintesi, “venerdì scorso il Medical Practitioners Tribunal Service (MPTS) di Manchester ha ritenuto colpevole l’ex medico del Team Sky e della federciclismo britannica, Richard Freeman, di aver ordinato il testosterone “sapendo o credendo che dovesse essere somministrato a un atleta per migliorare le proprie prestazioni atletiche”. Freeman è stato accusato di aver ordinato 30 bustine di una sostanza vietata (Testogel) per un atleta nel 2011 e ha ammesso di aver distrutto un laptop con “un cacciavite o uno strumento contundente” prima di darlo a esperti forensi che stavano conducendo un’indagine antidoping“.
Potrebbe essere l’innesco di un incendio, il sassolino che fa partire la valanga. Un po’ come avvenne nel caso Armstrong con le inchieste giornalistiche di David Walsh e il successivo mancato ingaggio di Floyd Landis nella seconda vita ciclistica di LA (Landis a quel punto andò all’USADA, l’agenzia antidoping statunitense, e confessò tutto).
I MEDIA INGLESI ALL’ATTACCO
Come si sono comportati secondo voi i media brittanici di fronte a un scandalo che potrebbe cancellare e 10 anni di ciclismo britannico? Considerate, come punto di partenza, che il Team Sky faceva parte di un progetto a più ampio respiro legato alla Federazione e all’intero movimento ciclistico britannico, quello delle infinite medaglie conquistate nel ciclismo su pista alle Olimpiadi di Londra e Rio.
La risposta è molto semplice: nessun nazionalismo o distinguo, ma attacchi durissimi e articoli senza filtri o diplomazia intrisa di patriottismo. Addirittura, visto che comunque si tratta di una situazione in divenire, si può dire che gli articoli e le accuse siano eccessivamente duri. Grazie alla newsletter de Lo Slalom (consigliatissima) di Angelo Carotenuto, abbiamo a disposizione una rassegna degli articoli principali usciti in questi giorni sui media britannici.
Ecco alcuni estratti.
Angelo Carotenuto: “Adesso che ogni cosa è illuminata, adesso che il dottor Freeman del team Sky e della federazione britannica è stato riconosciuto colpevole di aver ordinato del testosterone per migliorare le prestazioni di un atleta non ancora identificato, ma forse di tanti altri insieme a lui, rischia di venire giù l’intero castello di 10 anni di ciclismo e di un pezzo consistente di gloria dello sport britannico. Non c’è indulgenza sui giornali inglesi, nonostante la mancanza di alcune connessioni definitive”.
Stamattina sul Sunday Times interviene la firma più attesa, David Walsh, il giornalista che con le sue inchieste mise l’agenzia antidoping americana sulle tracce di Lance Armstrong, autore del libro The Program diventato poi un film.
Walsh scrive: “Se foste interessati, potremmo dedicare giorni interi a documentare le bugie. Ogni riga di questa sezione di 28 pagine potrebbe essere riempita e non sarebbe ancora abbastanza. Le bugie sono iniziate nel 2010 e sono continuate per 11 anni. Eppure qui c’è in gioco qualcosa di più grande delle sciocchezze, di pubbliche relazioni mascherate da verità. Chiamiamolo tradimento, perché di questo si tratta.
Walsh ricostruisce poi la vicenda per i suoi lettori. Il pacchetto fatto arrivare al velodromo, la versione che il testosterone servisse all’allenatore Shane Sutton per curare una disfunzione erettile, i pc distrutti, i dati e le cartelle mediche dichiarati smarriti. Ma Walsh ricorda che esiste la prova che il dottor Freeman ha iniettato a Wiggins 40 mg di triamcinolone acetonide, un corticosteroide, per il quale il ciclista aveva ricevuto un’esenzione: uso terapeutico. “Una volta – scrive – il triamcinolone acetonide era ritenuto utile nel trattamento della febbre da fieno e delle allergie. All’interno del gruppo, tuttavia, lo status del triamcinolone come potente amplificatore delle prestazioni è noto. Sarebbero passati anni prima che la somministrazione di testosterone, la storia del pacchetto di Jiffy e l’esenzione di Wiggins venissero alla luce”. Nel suo libro del 2012 My Time, Wiggins aveva raccontato di non essersi mai sottoposto a un’iniezione. “Si era dimenticato di quelle fatte a fine giugno 2011 e 2012” insiste Walsh, e aggiunge: “Quando le storie cominciano a trapelare, una vecchia verità si riafferma: la copertura delle cose sporche può essere spesso peggiore del reato. Non c’è una fine in vista per questo triste episodio. Non posso fare a meno di provare simpatia per Freeman. È in parte un capro espiatorio, in una storia molto più grande di lui. In un pomeriggio di maggio del 2013 abbiamo trascorso alcune ore in un caffè nella località sciistica italiana di Bardonecchia. Abbiamo parlato della sua vita di medico sportivo e ha detto tutte cose giuste, fedele a chi proteggeva. La sua opinione era che il ciclismo fosse molto più pulito ora di una volta. Ho ascoltato e quando il registratore è stato spento, il dottor Jekyll è diventato mister Hyde. Ha detto che non si fidava di nessuno nello sport, nemmeno delle persone nel team Sky. Uno strano cambio di rotta. Ora penso in particolare a Brailsford. Era il capo sia del Team Sky sia della British Cycling mentre accadevano queste cose. Grazie al successo della squadra gli è stato conferito il titolo di Sir. Ci sono molti ciclisti che hanno gareggiato in modo pulito per anni e che ora devono vivere all’ombra di cose con le quali non avevano nulla a che fare. Hanno bisogno che Brailsford spieghi. Nessuno ha usato il potere della comunicazione in modo più efficace di lui. E ora tace”.
A Brailsford dedica un editoriale durissimo anche Oliver Holt sul Daily Mail scrivendo che quelli del Team Sky “arrivarono 11 anni fa promettendo di essere diversi. Avete ragione: è quello che dicono tutti. Dicono tutti di essere diversi. Dicono di essere qui per ripulire lo sport. Dicono che vinceranno equamente. Dicono che non comprometteranno i loro principi. Dicono che non sono come gli altri e che non lo saranno mai. È il primo strato di finzione. Per molto tempo, siamo stati nutriti con l’idea che il predominio del Team Sky e del British Cycling fosse basato sul pensiero di persone come Sir Dave Brailsford e sulla scienza dei marginal gains, ma l’illusione dei marginal gains è stata finalmente e irrevocabilmente smentita da questa sentenza. Dovrebbe essere cancellata dal nostro lessico, tranne che come primo esempio di ingannevolezza verso le persone per bene”. Holt sul Mail non si nasconde che “volevamo crederci e ci abbiamo creduto. La paura ora, la paura che insegue lo sport britannico e infesta i ricordi di così tante notti d’oro passate nei velodromi o di pomeriggi soleggiati trascorsi in Francia, è che eravamo cattivi come gli altri. Il timore è che i nostri successi siano stati costruiti sulla sabbia. Che erano alimentati da prodotti illeciti che miglioravano le prestazioni”.
Perciò mette sotto accusa Brailsford. “Come dimenticare che gran parte dell’etica del regno di Brailsford, a capo di entrambe le organizzazioni, era basato su un’attenzione fanatica e microscopica ai dettagli? Stavamo battendo tutti gli altri perché Sir Bradley Wiggins dormiva in un letto con un materasso comodo e con un cuscino magico? E perché i nostri corridori indossavano maglie più sottili dei ciclisti australiani? Abbiamo accettato di sentirci dire tutto questo. Perché lo volevamo. In realtà, i marginal gains hanno iniziato a essere visti come una supercazzola gradita alla folla solo qualche tempo fa, quando è diventato evidente che il Team Sky si era spinto oltre i confini dell’etica sportiva con un cinismo sfacciato. Quando Wiggins ha ricevuto esenzioni (legali) per l’uso terapeutico di corticosteroidi, nel 2011, 2012 e 2013 prima dei Tour. La fiducia nei traguardi raggiunti dai ciclisti britannici è una vittima inevitabile. Il punto è che, in un’organizzazione che si vantava dell’attenzione ai dettagli, che si diceva fosse la migliore del mondo sportivo, come è anche lontanamente possibile che Freeman agisse da solo senza che gli altri sapessero? Questa idea è un insulto all’intelligenza. Brailsford ha tenuto la testa bassa e la bocca chiusa nella speranza che tutto sarebbe svanito. Spesso è il modo in cui vengono affrontati i momenti imbarazzanti. Ma ora che Freeman è stato dichiarato colpevole, niente di tutto ciò andrà via. Questo momento segna il declino di una delle più grandi storie dello sport britannico. È il momento in cui il castello crolla. Brailsford era considerato un guru della moderna gestione sportiva. È stato lodato come uno dei giganti dello sport britannico, se ne parlava come di un Sir Alex Ferguson e un Sir Clive Woodward. Alcuni lo adulavano e vedevano solo ciò che lui voleva vedessero. All’estremità opposta dello spettro, ci sono stati però altri che sono arrivati al punto di rifiutarsi di coprire i Giochi Olimpici di Rio nel 2016 perché non volevano scrivere di risultati in cui non credevano. Non sembra irragionevole suggerire che è davvero giunto il momento di ricalibrare la reputazione di Sir Dave. Si alzi, Sir Dave. Si alzi, Sir Asterisco”.
William Fotheringham sul The Guardian scrive che ulteriori indagini alla ricerca di altre verità potrebbero essere bloccate da mancanza di informazioni e da testimoni riluttanti, da poteri investigativi limitati, insomma gli stessi ostacoli che hanno impedito conclusioni definitiva alla questione su cosa ci fosse nella borsa inviata al Team Sky al Giro del Delfinato nel 2011. Ma aggiunge che “il fattore umano è stato il punto di svolta negli scandali sul ciclismo nel corso degli anni. L’inchiesta sulla Festina è andata avanti grazie al fatto che il giudice Patrick Keil è stato sostenuto dal ministro dello sport francese, Marie-George Buffet. Armstrong sembrava intoccabile e il suo caso è invece dipeso da un litigio che spinse il suo ex compagno di squadra Floyd Landis a testimoniare contro di lui, dopo che Armstrong gli aveva rifiutato un posto in squadra. Questo ha portato a una serie di ulteriori confessioni. Se avesse assecondato il suo vecchio amico, Lance potrebbe ancora essere un sette volte vincitore del Tour de France. Freeman non è una vittima innocente, secondo la sentenza. Se sente che non ha più nulla da perdere, e decide di fare nomi e di entrare nei dettagli su chi sapeva cosa e quando, su cosa è stato consegnato a chi, allora c’è da scriverci un libro e c’è materiale per più di un editore”.
Un portavoce di Steve Peters ha detto che non avrebbe risposto alle domande del giornale su Froome o su altre indagini. Brailsford non ha risposto a nessuna delle stesse domande né ha spiegato perché Sutton è rimasto a libro paga fino al 2017 nonostante avesse lasciato il ruolo nel team Sky all’inizio del 2013. Bobby Julich non ha risposto alle domande. Il Mail ha anche chiesto a Sutton perché avesse mosso quelle accuse a Froome. «Ho già risposto in passato» è stata la sua replica. Alla domanda su dove o quando avesse risposto, e dove si poteva rintracciare la sua risposta, ha detto: «Non prendo le date».
Domanda retorica finale: ve li immaginate i media italiani sbilanciarsi in questo modo, in una vicenda che mette in discussione i successi nazionali di un decennio? La risposta è palese, anche perché, purtroppo, c’è un precedente molto triste. Quanti e quali media hanno approfondito la vicenda e il processo Conconi? Quante inchieste, libri, film, serie Tv sono usciti a seguito di quelle vicenda che coinvolse lo sport italiano degli anni ’90 e che fu chiusa da una sentenza fin troppo chiara?