Insieme all’intervista esclusiva a Silvio Martinello, sono felice di poter inaugurare SPORTinMEDIA con un altro intervento di uno dei personaggi del mondo mediatico-sportivo che stimo maggiormente. Massimiliano Ambesi, voce storica di Eurosport per gli sport invernali, incarna infatti il modello di commentatore televisivo in grado di unire versatilità, competenza, autorevolezza e capacità di far appassionare il pubblico. Lo scorso inverno il biathlon azzurro ha ottenuto dei risultato straordinari con Wierer, Vittozzi e Windisch, raggiungendo – finalmente – un buon livello di popolarità. In tutto ciò, il ruolo di “diffusori di cultura sportiva” svolto da Ambesi e Dario Puppo, anche e soprattutto in anni non scintillanti per i colori azzurri, è stato determinante per avvicinare molte persone al biathlon. Meritato, quindi, il successo che ha travalicato i confini dei media sportivi, per la storica telecronaca dell’oro di Windisch ai Mondiali di Östersund. Insieme a Massimiliano abbiamo affrontato diversi argomenti con, mi auguro, molti spunti di riflessione. Ho diviso l’intervista in due parti (domani esce la seconda). Buona lettura!
Massimiliano, partiamo dalla fine, cioè dai successi del biathlon azzurro ai Mondiali e dal trionfo di Dorothea Wierer in Coppa del Mondo (senza dimenticare il meraviglioso secondo posto di Lisa Vittozzi). Hai la sensazione che, finalmente, grazie a queste vittorie, il biathlon in Italia abbia scavalcato il recinto dello “sport minore” e si stia affacciando in un’altra dimensione mediatica?
Tanto ruota attorno alla definizione delle accezioni “sport minore” e “differente dimensione mediatica”. Il discorso è complesso e non può essere sdoganato con poche parole, ma, per dirla in breve, in Italia manca una conoscenza adeguata di una parte rilevante del panorama sportivo. Nello specifico, si è in presenza di un’enorme lacuna in termini di padronanza di tutto quello che differisca da calcio e poche altre eccezioni. Molto banalmente, quanto non si conosce o si conosce poco non potrà mai uscire dal recinto dello sport minore, fermo restando che nessuna disciplina dovrebbe essere considerata minore perché tale non è. All’alba del 2020, per iniziare a ovviare a questo atavico problema, è imprescindibile l’introduzione nel programma scolastico dell’ora settimanale di educazione sportiva con differenti declinazioni a seconda dell’età degli studenti. Nel pentolone che può essere definito “educazione sportiva” ci finirebbero non solo la mera illustrazione dei vari sport e delle loro regole, ma anche del contesto sociale in cui sono nati, delle località in cui vengono principalmente praticati, della loro evoluzione nel tempo, dei benefici per la salute, dei costi per la pratica, delle metodologie di allenamento, degli atleti che hanno fatto la storia e di tanto altro ancora. Un corso di educazione sportiva ben strutturato permetterebbe di valorizzare le ore di educazione fisica e consentirebbe di migliorare la proprietà di altre materie fondamentali quali, per esempio, storia, geografia ed educazione civica.
Per tornare alla domanda, il biathlon ha sicuramente assunto una dimensione mediatica superiore rispetto al passato, ma trovo avvilente che per ottenerla abbia avuto bisogno di grandi risultati, che verosimilmente saranno anche la condicio sine qua non per mantenerla. Se in questo Paese ci fosse una differente cultura sportiva, l’interesse del pubblico si indirizzerebbe in egual maniera verso un numero più vasto di discipline e non mancherebbero stimoli e motivi di interesse per seguire i diversi sport anche in assenza di risultati eclatanti degli atleti italiani. Se da cosa nasce cosa, in presenza di una domanda più variegata e di un interesse diffuso, i grandi media sarebbero obbligati ad allargare i loro orizzonti prestando sempre più attenzione a un numero più ampio di discipline sportive. Nel circolo virtuoso che si andrebbe a generare, diventerebbe più agevole siglare contratti di sponsorizzazione con ricadute positive di vario genere e, per forza di cose, si svilupperebbe anche un giornalismo davvero qualificato, fatto non secondario e attualmente ben lontano dalla realtà.
Durante i Mondiali di Östersund, si è avuta la netta percezione di un ampio seguito da parte del pubblico (vedi like ai post della pagina Facebook di Eurosport). Ci puoi dare qualche ulteriore dato? (ascolti Eurosport, gruppo Facebook Biathlon Italia, ecc.)
In effetti, è avvenuta una sorta di svolta. Il materiale creato ad hoc dalla redazione di Eurosport ha ottenuto risultati sorprendenti in termini di like, condivisioni e commenti, il gruppo facebook “Biathlon Italia” ha incrementato i suoi adepti di quasi duemila unità nel giro di un mese e gli ascolti televisivi sono aumentati esponenzialmente gara dopo gara. Il tutto è stato accompagnato da una crescente copertura dei media cartacei, non solo quelli prettamente sportivi.
Ciò premesso, il biathlon può contare da tempo su una discreta base di appassionati, come testimoniato dal traffico generato dalle testate online specializzate e dai social network. Nel recente passato, nonostante lo scarso interesse della carta stampata, è stato stabilmente il terzo sport olimpico invernale per seguito alle spalle di sci alpino e pattinaggio di figura, ma, dopo i fasti degli ultimi mesi, il gap rispetto al pattinaggio di figura è stato quasi colmato.
In tutta onestà, tu e Dario Puppo sentite – anche in minima parte – di aver svolto un ruolo importante nella crescita di popolarità del biathlon in Italia?
Il principale merito che ci può essere attribuito è quello di avere tenuto alta la bandiera quando gli sporadici piazzamenti azzurri nelle prime dieci posizioni valevano come una vittoria. È superfluo rimarcare quanto i buoni risultati ottenuti in tempi recenti dagli atleti italiani siano stati la chiave di volta per la crescita dell’audience, ma non va dimenticato che il biathlon esisteva anche in precedenza con tutto il suo fascino, le sue storie e i suoi protagonisti. Nel nostro piccolo, abbiamo sempre cercato di valorizzare i personaggi, a volta addirittura di crearli, enfatizzando i punti di forza e di vulnerabilità di ciascuno. Non è un caso se proprio in Italia una fuoriclasse come Magdalena Neuner sia diventata oggetto di culto con largo anticipo rispetto alla sua Germania.
Il fatto di essere diversi caratterialmente e di focalizzarci con passione ed entusiasmo su aspetti differenti della gara ha contribuito a creare un racconto di norma apprezzato dal pubblico. Inoltre, ritengo che la capacità di attribuire il giusto peso ai risultati unita all’utilizzo di una terminologia adatta alle dinamiche della disciplina abbia reso il tutto più credibile nonché fruibile.
Anche se esula dal vostro stile – o forse proprio per questo motivo – la telecronaca del successo di Dominik Windisch nella mass start ai Mondiali è diventata oggetto di culto. Qual è stato il commento ricevuto che ti ha fatto più piacere?
Si tratta di una domanda cui non saprei proprio rispondere. Abbiamo ricevuto numerosi attestati di stima, percependo di essere apprezzati più di quanto potessimo realisticamente pensare. Ci è parso perciò doveroso rispondere in qualche modo a tutti coloro che ci hanno contattato esprimendo soddisfazione per il nostro operato. Non nascondo che siamo rimasti un po’ spiazzati per l’entusiasmo che si è generato, ma ricevere messaggi e telefonate anche da colleghi, allenatori e atleti di altre discipline, alcuni dal palmares importante, ci ha lusingato. Di certo, l’essere stati accostati a icone italiane del commento sportivo rappresenta un importante riconoscimento per il lavoro svolto in oltre tre lustri. Per il resto, siamo ben consci che non si possa piacere a tutti, motivo per cui abbiamo accettato di buon grado il mancato invito a qualche evento organizzato per celebrare i fasti della stagione. In un caso, in particolare, è stato detto: “quei due lì, noi non li vogliamo”, ma anche questo fa parte del gioco. Stride però il fatto che chi si è espresso in questi termini abbia utilizzato senza permesso il materiale di Eurosport con le nostre voci in sottofondo per creare un video celebrativo cui ha pensato bene di aggiungere una serie di considerazioni esilaranti. Alla fine, ci abbiamo riso sopra, consci che contro l’assoluta mancanza di professionalità e deontologia ci sia ben poco da fare.
L’occasione è comunque propizia per ringraziare nuovamente tutti coloro che ci hanno contattato in queste settimane e per chi, nei contesti più disparati, ha speso parole di apprezzamento nei nostri riguardi.
In che direzione, secondo te, Federazione ed entourage degli atleti dovranno lavorare per non disperdere il patrimonio di popolarità acquisito? L’arrivo di eventuali nuovi sponsor di spessore, anche in vista dei Mondiali di Anterselva, potrebbe avere un ruolo importante in chiave mediatica?
Innanzitutto, auspico che ciascun atleta rimanga sé stesso senza lasciarsi condizionare dall’improvvisa notorietà. La spontaneità e la genuinità, che insieme ai grandi risultati dell’ultimo lustro hanno contribuito a generare l’attuale seguito, non dovranno mai venire meno perché rappresentano un autentico punto di forza. La Federazione italiana degli Sport Invernali, fornendo più informazioni possibili e ponendo le basi per instaurare un rapporto costante e diretto tra giornalisti, tecnici e atleti, avrà un ruolo di raccordo fondamentale per consentire al biathlon di ampliare l’attuale presenza mediatica. Il probabile arrivo di nuove sponsorizzazioni garantirà sicuramente ulteriore visibilità o una diversa visibilità, che però andrà gestita sapendo creare di volta in volta le giuste aspettative e attribuendo la corretta dimensione ai risultati.
Vedi la seconda parte dell’intervista: