Il non-giornalismo de “Le Iene” e la vicenda Pantani

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Non mi dilungherò troppo su un argomento che ho già trattato a lungo nel vecchio blog. E non voglio nemmeno approfondire eccessivamente il tema legato al non-giornalismo prodotto da “Le Iene”. Non è questione di snobismo o presunta superiorità morale. Semplicemente, nel caso di Pantani c’è ben poco da aggiungere rispetto alle evidenze processuali dei fatti di Madonna di Campiglio e Rimini – spesso mischiate tra loro per ingenerare ulteriore confusione nel pubblico, già predisposto alla forca – e al libro di Matt Rendell, lavoro magistrale su vita e morte del Pirata. Libro stranamente (…) mai tradotto in Italia. Su “Le Iene”, invece, sono già state elaborate analisi e riflessioni da parte di autentici maestri della storia e critica televisiva, pertanto qui basterà riportare alcune loro considerazioni.

Scopo di questo breve articolo è quello di rimettere un po’ di ordine, nel modo più distaccato e oggettivo possibile, fornendo a chi si è perso qualche passaggio per strada, gli strumenti necessari per farsi un’idea, soprattutto per separare il grano dal loglio.

I LIBRI DI RENDELL E ROSSINI

Come detto, per quanto riguarda i fatti e la vicenda umana e sportiva di Pantani, c’è un unico libro che racconta molto bene, anche in modo crudo e doloroso, quale sia stata la parabola del Pirata – idolo di un ciclismo malato ai limiti della depravazione -, persona troppo fragile e sola per poter reggere il peso del post-Madonna di Campiglio. “The death of Marco Pantani” di Matt Rendell ricostruisce in modo oggettivo tutta la vita del Pirata, entrando nei lati più oscuri della sua esistenza, producendo dati, documenti, prove nel più classico stile giornalistico anglosassone. Soprattutto, il libro di Rendell non segue – per mere ragioni commerciali – stucchevoli (?) teorie complottiste da dare in pasto ai tantissimi tifosi di Pantani. A quest’ultima operazione ci hanno pensato tutti gli altri, con libri volutamente superficiali e privi di oggettività. Sulle ultime ore della vita del Pirata, ci sono stati un processo e nuove indagini, sollecitate dalla famiglia Pantani. Le conclusioni dei giudici – quindi non di una massa di tifosi, incapaci di valutare con freddezza fatti e prove – sono state sempre le stesse. E tutto questo emerge in modo molto nitido nel libro di Andrea Rossini “Pantani, ultimo chilometro”. Un testo scritto dall’unico giornalista (di cronaca nera, peraltro) che ha seguito scrupolosamente tutte le indagini e il processo di Rimini. Insomma, due libri che si basano esclusivamente sui fatti, rifiutando ogni coinvolgimento emotivo, anche a rischio di non vedersi mai tradotto il libro in italiano (Rendell) e di non sbancare nelle vendite (Rossini che, del resto, nella sinossi del suo libro scrive “La verità non sembra mai vera e lascia spazio al dubbio, ma è più affascinante di ogni teoria del complotto“).

IL NON-GIORNALISMO DE “LE IENE”

Nell ultime settimane “Le Iene” sono tornate alla carica, sfornando servizi in cui sollevano – per l’ennesima volta – dubbi sia sulla squalifica di Madonna di Campiglio (“complotto, è stato incastrato, probabilmente dalla Camorra”), che sulle circostanze della morte di Pantani (“non era solo in quella stanza, più plausibile la tesi dell’omicidio” ). Un modo di “fare giornalismo” già visto, purtroppo, in altri casi. Per capire il “Metodo Iene” e l’evoluzione del programma di Italia 1, riporto un articolo di Aldo Grasso sulla vicenda del regista Fausto Brizzi e un altro pezzo di Claudia Torrisi per Vice. Esprimono in modo più alto quello che è il mio pensiero su questa trasmissione che, 20 anni fa, sembrava rivoluzionaria e controcorrente, salvo poi rivelarsi populista.

Chi stabilisce la verità, il Tribunale o la Televisione? Come giustamente ha scritto Annalena Benini: «La giustizia in uno stato di diritto è forte perché è fredda, perché se non ci sono gli elementi per dimostrare la colpevolezza, assolve. Archivia. Libera. Il giudizio morale, che ognuno costruisce dentro di sé, è qualcosa di molto diverso». Il giudizio «morale» spesso è inficiato da motivi personali, da risentimenti, è proprio quello che in questi anni ha fatto commettere molti errori alle Iene. Ne abbiamo già scritto: il caso Stamina, la bufala del Blue Whale (un macabro gioco che sfociava in suicidi), i No Vax, la minaccia nucleare nei laboratori del Gran Sasso e altri ancora. Anche se il Tribunale si è pronunciato (in attesa della decisione del gip), le Iene sono ancora convinte della loro verità, così come è convinto della propria verità chiunque si eserciti sui social, chiunque faccia politica incurante delle regole della democrazia. È il «metodo Iene», non è un buon metodo.

Aldo Grasso – Corriere della Sera

L’obiettivo di denuncia de Le Iene ha poi anche un’altra dimensione, quella sociale. Nel saggio Politica Pop, Gianpietro Mazzoleni, docente di Comunicazione politica e Sociologia della comunicazione dell’Università degli studi di Milano, scrive che i programmi di “Infotainment 2.0” come Le Iene negli anni hanno accentuato la componente di diffusione di informazione, trattando “temi e avvenimenti di interesse pubblico secondo la retorica discorsiva della denuncia sociale: rifacendosi a loro modo all’idea della ‘Tv di servizio pubblico’, essi si propongono come attori sociali, se non parte politica in difesa del cittadino, e dichiarano una volontà fortemente interventista.


L’iniezione bisettimanale di sfiducia e scetticismo nelle istituzioni ha portato in fondo a una convinzione ormai molto radicata: di fronte a ogni disservizio o ingiustizia c’è sempre qualcuno che dice che “ci sarebbe da chiamare Le Iene” (o Striscia la Notizia, a seconda dei casi). È un atteggiamento trasversale, al punto che rivolgersi a un programma televisivo per denunciare anche solo un malfunzionamento è considerato un proposito di buon senso.

Non solo: Le Iene continuano anche ad avere un peso nella formazione dell’opinione di parte degli italiani, con molte persone che iniziano le discussioni con “L’ho visto alle Iene.” E questo nonostante i grandi e piccoli abbagli presi nel tempo dalla trasmissione.

Claudia Torrisi – Vice

Infine, ecco un’intervista al prof. Giorgio Simonelli di Lettera 43, con un’analisi sul cambiamento strutturale del programma di Davide Parenti.

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