Alla vigilia del Giro 2021, tutti i circoletti rossi disponibili erano stati posti sulla Sacile-Cortina d’Ampezzo, il classico e attesissimo tappone dolomitico. Ed effettivamente, una volta conclusa, lo possiamo dire: è stata una tappa che resterà nella storia del Giro. Purtroppo, però, non per particolari motivi agonistici (Bernal ha confermato di essere di un altro pianeta, quello dei Roglic e dei Pogacar per intenderci), ma per i problemi organizzativi, comunicativi e televisivi che si sono succeduti.
Ci vorrebbero diverse pagine per sviscerare in modo completo tutti gli aspetti che non hanno funzionato. Provo a sintetizzare al massimo i miei pensieri.
- Già il fatto di collocare il tappone del Giro al lunedì non brillava per lungimiranza. Certo, disegnare una corsa a tappe di tre settimane non è semplice e vanno tenute presenti mille variabili. Da sempre, però, gli organizzatori cercano di piazzare le tappe più spettacolari nei weekend: più pubblico sulle strade, più telespettatori e sponsor felici.
- Stamattina le condizioni meteo sui tre Passi dolomitici da affrontare (Fedaia-Marmolada, Pordoi e Giau) non erano delle migliori: temperature di poco superiori allo zero e pioggia mista a neve in vetta. Tuttavia, non era prevista neve e le strade erano state trattate col sale. Insomma, condizioni difficili ma non proibitive.
- Qui, come accaduto nel recente passato, è partita una disputa dai contorni poco chiari tra organizzatori (Rcs e il direttore di corsa Vegni), squadre, corridori, associazione degli stessi, sull’opportunità o meno di modificare il percorso. Decisione finale: tappone stravolto, niente Fedaia, niente Pordoi, solo Giau e arrivo a Cortina. Tali “contorni poco chiari” hanno assunto la forma del giallo (o della presa in giro?) nel dopo-tappa. Come sottolineato da qualcuno, dopo aver sentito le diverse versioni, “sembra che la tappa si sia accorciata da sola“. Da qui, le critiche circa la comunicazione di cui sopra.
- La discussione sull’opportunità o meno di tagliare o modificare il tappone, viste le condizioni meteo, non è semplice o banale. Ci sono diverse esigenze da contemperare. Sintetizzando: sicurezza/salute dei corridori vs aspetto sportivo e regolarità della corsa. Si potevano trovare altre soluzioni? Il famoso piano B? L’inversione col giorno di riposo? Può essere, anche se modificare logistica e viabilità di una grande corsa a tappe è estremamente complicato. Di sicuro, decidere in prossimità della partenza di stravolgere la tappa più importante non depone a favore dell’organizzazione complessiva del Giro. Soprattutto dopo i fatti dell’ultima edizione.
- Certamente, rispetto a qualche anno fa, c’è molta più attenzione e sensibilità verso la sicurezza e la salute degli atleti. Per fortuna, aggiungo. In passato, anche non troppo lontano, si sono però affrontate tappe in condizioni decisamente più difficili di quelle odierne. Ricordate Nibali alle Tre Cime di Lavaredo nel 2013? Senza mitizzare troppo i tempi andati – anche nelle fabbriche le condizioni lavorative sono fortunatamente migliorate nel corso degli anni (seppur, ancora nel 2021, si muoia a causa di un telaio) – va comunque rimarcato che nonostante un miglioramento notevole a livello di mezzi, abbigliamento e alimentazione, il limite delle condizioni minime di disputabilità di una tappa si sia progressivamente abbassato. Nessuno vuole mettere a repentaglio la salute o la sicurezza dei ciclisti e gli stessi non sono nemmeno dei circensi o “carne da macello”. Ci mancherebbe altro. Tuttavia, in nome di questi valori fondamentali, non si può nemmeno esagerare in senso opposto, cancellando salite e stravolgendo tappe e competizione sulla base di un “ipotetico/possibile pericolo”. Ribadisco. Non sono decisioni facili, ma va trovato un punto di equilibrio che possa soddisfare tutte le componenti coinvolte, spettatori compresi.
- Già perché oggi sul Fedaia e sul Pordoi erano già saliti diversi tifosi e appassionati, che avevano preso ferie e permessi. La comunicazione ufficiale dello stravolgimento della tappa è avvenuta alle 10.30, quando ormai questi tifosi erano per strada/appostati. Va poi aggiunto il mancato passaggio in determinate località che si preparavano da mesi a questa giornata (cito due paesi che mi stanno particolarmente a cuore: Arabba e Canazei). Tutti aspetti che organizzatori, squadre e associazioni dovrebbero quantomeno tener presenti.

- E veniamo all’aspetto televisivo. Le difficili condizioni meteo hanno impedito agli elicotteri di alzarsi e, di fatto, dal Passo Giau in poi non è stato possibile seguire la tappa in televisione. Solo radiocronaca, con estenuanti immagini dall’arrivo.
La memoria è subito corsa ai tempi (30 anni fa e oltre) in cui Adriano De Zan e Giorgio Martino intrattenevano dal palco gli spettatori davanti alla Tv, senza poter disporre delle immagini. Di fatto, un buco che è durato dal Giau ai 400 metri dall’arrivo, quando le telecamere fisse hanno inquadrato Egan Bernal. Non entro nel merito di questioni tecniche, ma è davvero singolare che nel 2021, nonostante i progressi incredibili della tecnologia, non sia stato possibile seguire in diretta video la tappa (teoricamente) più importante del Giro. Sono possibili altre soluzioni? È possibile riprendere una corsa ciclistica che si disputa in montagna in queste condizioni? Domande banali su cui, tuttavia, sarebbe interessante ottenere qualche risposta.
Su come venga seguito il Giro a livello di riprese televisive, rimando all’ottima rubrica di Wenner Gatta:
- E qui, infine, i due discorsi – organizzativo e televisivo – si toccano. Se in queste condizioni meteo non è stato possibile seguire in Tv gli ultimi 25 km di corsa (quelli decisivi), cosa sarebbe successo se si fosse mantenuto il percorso originale? Avremmo osservato per 3 ore i volti delle persone al traguardo? Qualcuno ha ipotizzato che sullo stravolgimento della tappa abbia influito anche il parere della produzione televisiva (Rai), ma onestamente non ci sono notizie o conferme a riguardo. Anzi, al Processo alla Tappa c’è stato un duro confronto tra Alessandra De Stefano e Mauro Vegni.
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