Gianni Mura nel ricordo di Verdelli, Audisio, Crosetti, Pastonesi, Sconcerti, De Stefano

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La morte di un maestro e gigante del giornalismo (sportivo sarebbe riduttivo) come Gianni Mura, aggiunge ulteriore dolore e tristezza a un momento tragico delle nostre vite. Un narratore straordinario che con i suoi pezzi e le sue rubriche ha ha saputo descrivere come pochissimi altri storie, eventi e persone. Molti atleti e colleghi hanno voluto rendergli omaggio, raccontando alcuni aneddoti e facendoci scoprire qualcosa in più del suo lato privato.

Ecco una raccolta degli articoli più belli pubblicati in queste ultime 24 ore (per rispetto di Mura non inserisco il pezzo di Andrea Scanzi che anche in questa occasione ha voluto coccolare il proprio ego, parlando più di sé stesso che di Mura).

CARLO VERDELLI – DIRETTORE LA REPUBBLICA

Si è fermato proprio nei giorni in cui si è arreso anche lo sport. E’ sceso di bicicletta, è andato a sedersi in panchina, ha lasciato il campo di cui è stato l’ultimo campionissimo. Pochi giorni fa mi aveva detto: dai, diretur, che ce la facciamo.

Carlo Verdelli

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EMANUELA AUDISIO – LA REPUBBLICA

Se n’è andato nel primo giorno di una primavera deserta, ma già piena di margherite. Alle otto di mattina di un sabato in cui il suo ciclismo (Milano-Sanremo) aveva smesso di correre e alla vigilia di una domenica senza calcio. Chissà, forse Gianni in un mondo così, «senza», non ci stava più. Aveva telefonato la sera prima: «Bevete, anche se io non ci sono». Pronta la risposta: «Ma no Gianni, ti aspettiamo». Ma non c’è più nulla da festeggiare. Aveva voluto il computer in ospedale, perché era un uomo di doveri, e c’erano i Sette giorni di cattivi pensieri da scrivere. Paola, la moglie, glielo aveva portato, con il quaderno a quadrettoni, dove lui annotava i suoi giochi di parole. «Stanotte, ne ho pensato uno: diamante, gioiello extraconiugale».

Gianni ti sfiorava, era leggero in tutto: con le parole, con i gesti, con i pensieri. E aveva un italiano splendido, semplice, nitido. Grande anche la sua generosità, non arrivava mai a mani vuote. Ti stroncava con i riferimenti a canzoni, libri, autori, anche dialettali, ricordi, paesaggi. Ne aveva in abbondanza, per tutto e per tutti.

Emanuela Audisio

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MAURIZIO CROSETTI – LA REPUBBLICA

Prima le persone e poi le parole, e lui le parole le aveva bellissime, le più belle di tutti. E andare, andare sempre a guardare. Parlare con gli altri, osservare i dettagli, gli oggetti, le forme e le tinte delle cose. Scrivere, quello viene dopo. Scrivere, diceva Gianni, è come cucinare, ma conta molto di più fare la spesa. Quando hai le cose giuste sul tavolo, quando al mercato hai scelto bene, poi i piatti vengono buoni per forza.

Maurizio Crosetti

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MARCO PASTONESI – IL FOGLIO

Non aveva problemi su come attaccare un pezzo, non aveva problemi su come rimpolparlo, non aveva problemi neppure su come chiuderlo. Perché dentro c’era armonia, eleganza, cultura, classe, stile, giornalismo. Perché dentro c’era il sapore della terra e il profumo dei libri, c’era la gavetta e l’accademia (anche quella di Brera, nel senso di Gianni), c’era l’odore degli spogliatoi e la luce del campo, c’era la bellezza dell’arte e l’artigianato dello sport: ed era tutto grasso che colava. Poi lo si leggeva, il pezzo, ma anche lui, perché ogni pezzo era un suo pezzo e un pezzo di lui, e anche un pezzo di noi. Lo si leggeva dall’attacco alla chiusa, poi si faceva un bel respiro, e si staccava la pagina. Ma sì. Caso mai. Chissà. Se no. Magari. Pensieri così.

Marco Pastonesi

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MARIO SCONCERTI – CORRIERE DELLA SERA

Mi telefonò un pomeriggio di oltre 40 anni fa. Io ero capo dello sport di Repubblica, ma non c’era ancora lo sport. Un giorno sì, un giorno due colonne in cronaca. Però c’erano idee, eravamo diversi. Gianni sentì quella differenza. Era da due mesi all’Occhio di Maurizio Costanzo, grosso stipendio, nessun piacere nel mestiere. Pezzi brevi, giornalismo popolare. Non era il suo mondo. Concordammo un ingaggio ballerino, senza chiedere a direttori e amministratori, un patto tra me e lui. Lui si dimetteva e prendeva dalla cassa di previdenza l’indennità di disoccupazione, e io integravo con un mio budget di redazione che non esisteva. Ma ero sicuro che appena avesse cominciato a scrivere nessuno ci avrebbe mai cacciato. Tremammo un po’, ma andò così.

Mario Sconcerti

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ALESSANDRA DE STEFANO – RAI SPORT

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