Vi ricordate i media durante i Mondiali di calcio femminile dello scorso giugno? Non si parlava d’altro (calciomercato a parte). Com’era possibile che fino a quel momento il calcio delle donne fosse stato relegato in un angolo? Tutti (o quasi) esprimevano il loro entusiasmo per le giocate di Gama, Girelli&Co. e si ripromettevano che i Mondiali francesi avrebbero rappresentato l’inizio di una nuova era. Sicuramente quell’incredibile successo mediatico ha prodotto dei risultati tangibili nell’immediato: nuove iscrizioni alle scuole calcio, nuovi sponsor, maggiori spazi sui media (Sky Sport in primis) per la Serie A e per alcune protagoniste (la CT Milena Bertolini ospite fissa di 90° Minuto su Rai 2, Carolina Morace commentatrice tecnica della Serie A maschile su Sky Sport).
Già, ma ora? Quanti seguono realmente la Serie A femminile? Quanti conoscono la situazione della Champions League? Chi ha piena cognizione dei prossimi impegni della nazionale? Se si eccettuano i 3-4 big match della Serie A che coinvolgono la Juventus Women (in particolare le sfide contro Milan, Roma, Inter e Fiorentina) in cui i dati d’ascolto sono discreti/buoni (si va dai 107.000 spettatori per Roma-Juventus ai 251.000 di Milan-Juve), la situazione (oltre che la percezione) sembra molto chiara: il calcio femminile è ritornato nella sua nicchia (probabilmente un po’ più grande di prima, ma pur sempre nicchia). La domanda che già lo scorso giugno alcuni si ponevano (successo vero o moda passeggera?), dopo pochi mesi, ha già trovato la sua risposta. L’innamoramento/impazzimento collettivo, con discussioni al bar e sul posto di lavoro, servizi sui telegionali nazionali, fiumi d’inchiostro sui giornali, è già abbondantemente alle spalle.
Il calcio femminile, di fatto, rientra nel lungo elenco degli “sport di moda in Italia” o, per coniare una nuova definizione, di “instant sport“: la Vela (Azzurra-Moro di Venezia-Luna Rossa), lo Sci Alpino con Tomba e Compagnoni, il Rugby di 15 anni fa, in parte la MotoGP con Valentino Rossi al top. Una moda che dura più o meno a lungo (il tempo di un grande evento o quello in cui il campione nostrano, mediaticamente spendibile, ottiene grandi risultati), ma che è destinata inesorabilmente a finire.
Nella più classica tradizione di “cultura sportiva a singhiozzo” italiana.