Nella nostra marcia di avvicinamento ai prossimi Giochi Olimpici di Parigi 2024, continua l’intervista con Matteo Pacor, responsabile dei progetti olimpici di Eurosport / Discovery WB Italia.
Approfondiamo allora il ruolo dei talent nel commento sportivo e il valore aggiunto di avere “sul campo” degli (ex) atleti, capaci di cogliere sfumature diverse, avendo vissuto in prima persona determinate emozioni.
Ci sarà poi spazio per qualche riflessione sulle tecnologie di trasmissione, quali “l’ultra definizione” (4K) delle immagini televisive, che se da una parte restituiscono qualità straordinaria, dall’altra, scontano forti limiti rispetto ai costi e alle infrastrutture per la loro produzione.
Non mancheranno anche alcune chicche raccontate da Matteo e raccolte nella sua decennale esperienza, con una sorpresa finale!
RACCONTARE LE OLIMPIADI: “UNA TELEVISIONE PER APPASSIONATI, FATTA DA APPASSIONATI”
Lo sport è anche narrazione. Le immagini sono il cuore dell’offerta di un broadcaster, ma anche il modo in cui quell’evento, quell’impresa sportiva viene raccontato fa la differenza. Ho chiesto quindi con quale spirito il team di Eurosport si appresta a farci “ascoltare” le gare di Parigi 2024:
“Mah, guarda, non essendo una tv in chiaro ed avendo un pubblico abbastanza di nicchia, cerchiamo proprio di confezionare un racconto adatto alle nostre nicchie. Facciamo quindi una televisione per appassionati, fatta da appassionati.
L’altra cosa che noi cerchiamo di aggiungere è un tocco di freschezza, di originalità, magari anche un po’ di sano cazzeggio”.
CHE RUOLO HANNO I “TALENT”?
“Nel nostro racconto, invece di avvalerci di persone dello spettacolo, utilizziamo le facce più divertenti, fresche di ex atleti, che danno un modo di vedere l’evento sportivo con occhi completamente diversi, anche da quelli del giornalista.
È una scelta che ogni tanto viene messa in discussione, ma che invece a noi piace molto. Da una parte infatti si perde sicuramente un po’ di profondità editoriale, perché un giornalista è sicuramente molto più preparato sulla storia di uno sport, su gli aspetti magari più tecnici o più di contenuto, sulle polemiche o quant’altro.
Per altro verso, se invece tu mandi a fare le interviste in mixed zone, una Valentina Marchei o comunque un altro ex-atleta, come sarà Dorothea Wierer, ti aspetti che il suo racconto e le sue domande escano da questi binari. Saranno domande fatte da una persona che tende ad emozionarsi nel vedere un gesto che conosce, nel senso che conosce la fatica che c’è dietro, lo sforzo, le emozioni di un’olimpiade.
Magari la domanda potrà essere un po’ banale, ma la qualità della risposta spesso è sorprendente, perché l’approccio che ha un atleta nei confronti di un altro ex atleta è completamente diversa da quella che ha un’atleta nei confronti di un giornalista, e questa è una cosa che a noi piace molto. Insistiamo molto su questo aspetto, prendendone i lati buoni e anche accettando quelli meno buoni. Secondo me questo è un punto di differenza abbastanza grosso rispetto ad altri broadcaster, dove l’inviato sul campo è quasi sempre un giornalista”.
È indubbio infatti che tra atleti (o ex) ci sia un rispetto diverso, dato proprio dall’aver vissuto esperienze comuni, che rende più spontanea la risposta, in un clima sicuramente più “intimo”.
“Lo vedo anche nel sport invernale, dove insisto molto su questa cosa. Ti porto l’esempio di Tina Maze, che gira con noi nelle varie gare di coppa del mondo di sci e ci permette di fare interviste con atlete come Mikaela Shiffrin che arrivano lì e chiacchierano come due vecchietti davanti al thé… succede poi che un’intervista che dovrebbe durare 5-6 minuti, si allunga a un quarto d’ora o venti minuti. Questo perché tra atleti parlano, chiacchierano, si fanno domande a vicenda, perché l’approccio è completamente diverso, e non sarebbe lo stesso neanche se andassi io o il mio giornalista più competente. Emergerebbero comunque aspetti interessanti, ma per quello che piace a noi e che vogliamo raccontare, questo è l’approccio più conforme”.
Ci sta poi che vengano spesso individuati anche atleti con determinate capacità e doti dal punto linguistico: pensiamo ad esempio proprio a Tina Maze o alla stessa Dorothea Wierer, le quali sanno perfettamente esprimersi in più lingue, permettendo loro di proporsi a spettatori di diverse nazionalità.
“E poi sono appassionati di sport, mangiano sport, guardano sport, fanno sport, vivono l’aria aperta, hanno un concetto proprio di vita sportiva che serve anche un po’ per trasmettere dei buoni valori, dei valori positivi”.
Qui Matteo si sofferma proprio sull’importanza di poter veicolare valori positivi e di poter magari evitare determinate tematiche: “noi abbiamo anche la fortuna di non avere un canale news e quindi di poter stare alla larga da certi argomenti più peciosi, ogni tanto se ne parla magari, ma non è che siamo lì tutto il tempo a parlare di doping, scommesse, ecc..”.
DISCOVERY E WARNER BROS: NUOVE SINERGIE CON UN OCCHIO ALL’INTRATTENIMENTO
L’acquisto dei diritti per trasmettere i Giochi Olimpici da parte di Discovery WB, oltre che per gli aspetti economici legati alla rivendita dei diritti stessi, è stato sicuramente un modo per far crescere il brand, con una manifestazione che da lustro e prestigio.
Inoltre le sinergie che possono crearsi dopo l’unione tra Discovery e Warner Bros aprono a scenari interessanti.
“Sì, la fusione tra i due colossi per noi vuol dire anche avere un tocco in più di divertimento. Avere “Bugs Bunny” in squadra può essere un modo ancora più divertente di vivere le cose, per cercare di farlo in maniera ancor più scanzonata. Cercheremo anche di sorridere di più di quanto abbiamo fatto fino ad adesso.
Perché, comunque sia, lo sport è intrattenimento e noi siamo all’interno di una macchina che fa intrattenimento. A volte ci limitiamo a guardiamo le partite, vediamo chi vince e chi perde e ci soffermiamo meno sullo spettacolo. E su questo, a volte, dobbiamo magari fare un po’ più di mente locale, ricordandoci che è pur sempre intrattenimento”.
L’EVENTO SPORTIVO IN TV: TRA QUALITÀ E STREAMING
Matteo ha iniziato la propria carriera con un tipo di offerta mediatica, quella degli anni ’80, in cui la TV era in quattro terzi, ancora in bianco e nero. Gli eventi si potevano al massimo registrare con il VHS o il Video 8. L’appuntamento più importante, con il riassunto della giornata sportiva era poi la Domenica Sportiva.
Oggi invece siamo arrivati a un’offerta a 360°, anzi 720°! Possiamo a ragione definirci bulimici, per la quantità di sport a disposizione nei vari servizi streaming e non.
In tutto questo contesto, come hai vissuto l’evoluzione anche qualitativa dell’offerta mediatico-sportiva?
“Un’evoluzione c’è evidentemente stata e, oggi, l’offerta è quantitativamente e qualitativamente straordinaria.
Nel 2006 c’è stato un vero momento di svolta quando on Sky siamo passati alla trasmissione in 16:9, che per me fu già una rivoluzione e, poi, con l’avvento dell’Alta Definizione (HD), attorno alla quale c’era un forte hype.
Ogni tanto mi chiedo però a quanto veramente servono cose come il 4K, quando la fruizione della maggioranza degli eventi sta diventando sempre più mobile, e quindi l’UltraHD è inutile o comunque poco sfruttato.
Peraltro il 4K stesso è una tecnologia che ha dei limiti, che sostanzialmente si concretizzano nell’utilizzo estremo della banda a disposizione. Vi è quindi la necessità di infrastrutture particolari e, oramai siamo sempre più dipendenti dalle reti. Una volta bastava l’antenna da mettere fuori dalla finestra. Magari si iniziava a vedere un po’ con l’effetto neve, poi la giravi, e le cose miglioravano.
Adesso abbiamo strumenti molto diversi. L’aspetto della tecnologia, e quindi anche quello del 4K, non è mai stato, secondo me, un “game changer”, un qualcosa che ha veramente cambiato la fruizione dello sport in TV.
Ricordo anche il 3D, che ho vissuto ai tempi di Sky, sembrava un plus, ma in realtà poi è passato di moda e, peraltro, poteva dare anche fisicamente un senso di fastidio, di nausea.
Un altro aspetto su cui sono perplesso, almeno per me che sono della “vecchia generazione”, è la questione della latenza. Durante i mondiali del 2006 in Germania, lavoravo per Sky e ho visto quasi tutte le partire dalla regia. In uno dei giorni liberi, mentre ero a casa, giocava il Brasile e nella mia zona a Milano, ci sono tantissimi brasiliani. Bene, le urla che arrivavano in differita facevano impressione. Chi stava guardando la Rai vedeva le immagini prima rispetto a chi aveva Sky.
Su questo aspetto non esprimo in ogni caso un giudizio, negativo o positivo, ma osservo come si ripercuota sul modo in cui viviamo gli eventi in diretta, che andrebbe approfondito, e a come forse questo tipo di percezione comincia a essere superato.
Mi spiego: vivere l’evento in diretta è sempre una cosa bella, appassionante, ma ormai abbiamo decine di strumenti per usufruire dello sport, che utilizzano modalità differenti di proporre l’evento (digitale, satellite, streaming), ciascuna con un lag rispetto alle altre. Quando avremo delle reti super veloci, questa latenza sarà minore. In realtà però, per come sono fatti i sistemi informatici dei broadcaster, questi tenderanno sempre a rallentare un pochino il flusso, perché i segnali vengono codificati, decodificati, ricodificati, trasmessi e una latenza ci sarà inevitabilmente. Questo è uno degli aspetti che più mi fanno riflettere e cerco a volte di capire anche dai più giovani se a loro può dar fastidio.
Mi vien da pensare che se vivi “dal vivo” l’evento, allora sei veramente nel centro dell’attenzione e vedi tutto con le sensazioni dell’istante. Davanti alla TV puoi sicuramente godertelo in una maniera estremamente completa, ricca, perché hai le grafiche, perché hai qualcuno che ti racconta qualcosa di più, hai del contenuto aggiuntivo, però, perdi un po’ dell’immediatezza, perdi quel filo di adrenalina.
Ricordo, a Tokyo, ero in ufficio, nell’ufficio all’IBC, e ho visto vincere Jacobs prima dei miei colleghi che stavano guardando la stessa cosa da un altro televisore in un’altra stanza. Io chiaramente ho esultato e loro pensavano fossi impazzito! Chi poteva pensare che un italiano avesse vinto i 100 metri!
Questo effetto su una gara di pochi secondi poi si amplifica e denota la complessità per noi broadcaster di gestire queste dinamiche. Cerchiamo di essere sempre più rapidi, più efficienti, ma oggi non sempre riusciamo a centrarli questi obiettivi, anche appunto per dei limiti strutturali”.
Mi permetto di osservare come sia proprio cambiato il modo di vivere l’evento in tv. Personalmente, non mi faccio problemi a registrare o recuperare in differita nei servizi streaming una determinata gara che non ho potuto seguire live. È anche un problema di “tempo”: una volta c’erano poche cose da vedere e uno poteva anche seguire quasi tutto. Oggi ti devi adattare e ci sta che nella vita il “telepcsportdipendente” (cit.) abbia altro da fare e programmi anche la visione dello sport.
“È un modo diverso di fruire questi eventi, anche perché appunto ne abbiamo tanti. Una volta c’erano un canale, due canali. Quando io ho cominciato, a Milano, lo stesso evento potevi seguirlo su quattro canali, sulla RAI, la TV Svizzera, Capodistria o TeleMontecarlo: quattro fonti per vedere la stessa identica cosa, su quindici canali che erano allora disponibili sulla tv! Oggi in effetti la questione è diversa, abbiamo decine, centinaia di fonti ed è difficile starci dietro”.
Prima dei saluti, Matteo ci lascia con una chicca, che pesca dalla parete di ricordi e cimeli dietro di lui, dove trovano posto gli accrediti delle varie manifestazioni a cui ha partecipato (una caterva!) e qualche memorabilia di estremo valore.
“Vedi questo pettorale con il numero 11? È solo metà, perché l’altra ce l’ha il legittimo proprietario… è il numero con cui Pierino Gross ha vinto a Berchtesgaden nel 1974, guidando la cinquina degli atleti azzurri, davanti a Thoeni e agli altri. Fu l’inizio della Valanga Azzurra. È un pezzo storico, che tengo qua perché merita”.
NB Per chi fosse interessato a sapere che fine ha fatto l’altra metà del pettorale, ecco un video estratto dal TG di La7 con una bella intervista a Pierino Gross.
Finisce qui la nostra lunga intervista con Matteo Pacor, al quale non possiamo che essere grati per averci aiutato a capire anche ancor meglio come si “fa” una televisione per appassionati, di nicchia magari, ma soprattutto di qualità.
Se dovessimo riportare tutte le collaborazioni che il nostro interlocutore ha avuto nella sua carriera, l’elenco sarebbe veramente lungo. Dalla fine degli anni ’80 ha infatti lavorato prima con la TSI (la TV Svizzera italiana), poi con la RAI, quindi Tele Capodistria, Tele+, TeleMonteCarlo (chi non ricorda le mitiche telecronache con Bruno Gattai), Mediaset, Sky. Infine, dal 2016 è approdato a Eurosport e dal 2021 è responsabile per gli sport invernali di Discovery Sport. E’ un appassionato di storia e statistiche dello sci alpino, nonché curatore del sito ski-db.com.
Ci ha raccontato di aver iniziato a seguire sul posto le olimpiadi (soprattutto invernali) a partire da Albertville 1992, proprio per Tele+, e da lì è iniziata una lunga sequenza di eventi vissuti direttamente e dal vivo, tanto come reporter e commentatore prima, che come osservatore e produttore poi. Vanta anche collaborazioni con Bud Greenspan, grande casa di produzione americana, che per quasi 40 anni ha realizzato per il CIO i film olimpici ufficiali.
Un ricordo doveroso va anche alla memoria del papà di Matteo, Aldo Pacor, per anni giornalista e prima firma del Corriere dello Sport, per il quale si occupava di sci negli anni della Valanga Azzurra. Ci lasciamo con un suo ricordo da parte di un collega, Fulvio Solms, che all’inizio della propria carriera veniva da lui giornalisticamente iniziato in un grande evento sportivo, sempre ad Albertville:
VEDI 1^ PARTE INTERVISTA A MATTEO PACOR – PARIGI 2024
Matteo Zaccaria | Coltiva la passione per tutti gli sport (tranne il cricket, che rimane un mistero), ma non ne pratica neanche uno (!). Avvocato vicentino, ma non “magna gati”. Appassionato del racconto sportivo in tutte le sue forme. Ritiene che se ti svegli nel cuore della notte per guardare una finale NBA, o hai una passione, o un problema, oppure entrambe le cose!
“Mi piace guardare lo sport in Tv. Contrariamente ai film non sai mai come va a finire” (Michael Douglas).