È uscito in questi giorni il nuovo libro di Sergio Tavčar, intitolato “Lo Sport e il Confine del mondo“, scritto in modalità intervista insieme a Marco Ballestracci, musicista, giornalista e scrittore. Dopo “La Jugoslavia, il basket e un telecronista”, si tratta del secondo libro dell’ex telecronista di Telecapodistria, da pochi mesi in pensione. Tavčar rappresenta un autentico mito per chi ha iniziato a seguire lo sport in TV negli anni ’80 e ’90. Anche alcuni grandi telecronisti come Pietro Nicolodi e Massimiliano Ambesi, hanno confessato nelle loro interviste a Sport in Media, che l’ex voce di TV Koper è stato un punto di riferimento nella loro fase formativo-adolescenziale. In questo libro Tavčar mescola alcuni ingredienti, spesso sentiti in telecronaca: sport, storia e antropologia dell’ex Jugoslavia. E lo fa – da uomo di cultura – dall’osservatorio privilegiato del “confine del mondo” italo-sloveno. “Lo Sport e il confine del mondo” sarà certamente una delle letture natalizie, periodo migliore per (ri)prendere in mano i libri accatastati sul comodino. Per ora, ecco alcune anticipazioni tratte dalla sinossi e dalla recensione apparsa su “Il Venerdì di Repubblica”.
INTRO E SINOSSI
Sul tavolino di un bar d’Opicina, a cinque chilometri dal confine italo-sloveno, Sergio Tavčar racconta a Marco Ballestracci l’avventura della Jugoslavia: sia storica che sportiva. Non la racconta però da specialista del reportage, ma da ragazzino cresciuto a un passo dal confine tra l’Ovest e l’Est del mondo e, più tardi, da voce sportiva di TV Koper Capodistria, la televisione della minoranza italiana in Slovenia.
“Tutto ciò che si troverà scritto in queste pagine è stato raccontato mentre si era seduti a un tavolino del Caffè Vatta, a Opicina, alla fine di Via Nazionale, poco prima che, oltre il monumento a Karl Von Zinzerdorf, la via cambi denominazione. Leggere in alto sul muro la denominazione “Strada per Vienna” fa sorridere. È la conferma definitiva della natura così differente di Trieste, la città a cui Opicina appartiene. Su quel tavolino, sempre lo stesso, tra caffè macchiati che qui si chiamano “capo” o “capo in B” o, verso mezzogiorno, tra i mezzi prosecchi e i mezzi gingerini che qui si chiamano “bicicletta”, per raccontare questa storia sono capitati fuori uno dopo l’altro Carlo Magno, che progetta l’offensiva contro gli Avari, Scandenberg, che attende l’arrivo degli ottomani nella piana di Torvioll, Giovanni Sobieski ed Eugenio di Savoia che inseguono i turchi fuori dalle mura di Vienna. Poi, all’ora di pranzo, dopo i sardoni marinati sott’olio, giusto un attimo dopo che Eugenio di Savoia se n’era andato sottobraccio a Ivo Andric sono arrivati Mirza Delibsic, Dragan Kicanovic, Drazen Dalipagic, Kresimir Cosic e Zelijko Jerlow: il quintetto che ha conquistato l’oro olimpico all’Olimpiade di Mosca e che, per interposta persona, ha iniziato a raccontare altre storie. Questa volta di pallacanestro. Tutto ciò mentre intorno al tavolo entrava e usciva gente che parla indifferentemente italiano, sloveno e, sovente, tedesco. Qui tra le colline carsiche, forse anche più che a Trieste, si comprende il significato della parola Mitteleuropa e qui certamente si possono risolvere questioni che per chi vive solo centottanta chilometri più o ovest sono davvero insondabili e lo sono sempre stato dacchè s’è avuto un poco l’uso della ragione”.
LA RECENSIONE DI GIGI RIVA SU “IL VENERDÌ DI REPUBBLICA”
Sergio Tavčar, 69 anni, sloveno di Trieste, telecronista-mito del basket e non solo, nel libro intervista con Marco Ballestracci, sdraia la Jugoslavia sul lettino dello psicanalista e attraverso il prisma dello sport legge attitudini, virtù e vizi dei popoli che costituivano la defunta Federazione. Per spiegare il cocktail formidabile che produsse tanti allori. Come un Gianni Brera balcanico, attinge dall’antropologia gli elementi cromosomici peculiari che, combinati insieme, creano la perfetta formula chimica della squadra vincente. I termini non sono scientifici ma molto eloquenti. La postura dispersiva, “farfallona”, dei serbi, il loro titanismo improduttivo, accompagnato dalla genialità croata e ridotto a sintesi dall’infaticabile dedizione degli sgobboni sloveni, aveva creato il meccanismo perfetto, micidiale per gli avversari. (…) Benché la carriera professionale di Sergio Tavčar a Telecapodistria debba molto all’epica dei successi dei plavi, il libro denota entusiasmo per quegli anni formidabili ma nessuna nostalgia. Così doveva andare, così era scritto per l’osservatore geograficamente laterale perché uomo di confine, dunque privilegiato.